Il voto in Russia ha un esito scontato. Senza rivali per guidare il Cremlino, Vladimir Putin si appresta a essere rieletto proseguendo nella sua lunga stagione di potere. Un regno senza soluzione di continuità, a eccezione di quella breve parentesi targata Dmitry Medvedev, e che consacrerà Putin come uno dei leader più longevi (e probabilmente anche decisivi) del suo Paese. Capire quanto e come abbia inciso sulla storia della Russia sarà compito degli storici. Di certo però incide sul presente, e su una quotidianità che da febbraio 2022 è scandita da un solo concetto: la guerra. Un termine che al presidente russo non piace, al punto che gli viene ancora preferito quello di “operazione militare speciale”. Ma se la forma non cambia la sostanza, è su questa invasione che si decide anche il destino di Putin, che la considera un conflitto esistenziale. Per Mosca, come per sé stesso. Basti ricordare come è avvenuto l’annuncio della ricandidatura: rispondendo alla richiesta fatta da un pluridecorato reduce del Donbass.

“Abbiamo bisogno di lei, la Russia ha bisogno di lei” gli aveva detto Artyom Zhoga. E il leader russo, quasi apparentemente “costretto”, diede la risposta: “Ho avuto diversi pensieri su questo argomento, ma oggi capisco che non c’è altra scelta. Ecco perché mi candiderò a presidente della Russia”. Nella Russia di Putin, nulla avviene per caso. Ed è chiara la simbologia di quella scena. Putin circondato dai veterani del Donbass, nella sala Georgievsky del Cremlino, che accoglieva la richiesta di un militare e padre di un caduto doveva significare che non solo era la Russia a chiedere la sua ricandidatura, ma che questo appello arrivava soprattutto da coloro che in prima linea combattevano la guerra che per Mosca è diventata anche un conflitto contro l’Occidente. E che questa guerra abbia un peso anche su queste elezioni ci sono pochi dubbi.

Non è un caso che Putin abbia voluto arrivare al voto dopo la caduta della città ucraina di Avdiivka e mentre le sue truppe appaiono in grado di avanzare ancora di più oltre la prima linea nemica. Così come non è un caso che anche nell’appello al voto del presidente siano stati ricordati i soldati impegnati nella “operazione militare speciale”. “Solo voi, cittadini russi, determinate il destino della Patria. Non dovete semplicemente esprimere il vostro voto, ma dichiarare fermamente la vostra volontà e aspirazioni, il vostro coinvolgimento personale nell’ulteriore sviluppo della Russia” ha detto Putin, che ha poi ricordato che “votano anche i nostri combattenti al fronte. Dimostrando coraggio ed eroismo, difendono la madre patria e, partecipando alle elezioni danno un esempio a noi tutti”. La propaganda del Cremlino è chiara. E se il voto è scontato nei suoi risultati (con l’opposizione composta dal nazionalista Leonid Slutsky, dal comunista Nikolai Kharitonov e da Vladislav Davankov, che è sostanzialmente allineata) e il dissenso represso, per Putin è essenziale soprattutto che queste elezioni si trasformino in un plebiscito e che tutti vadano a votare. L’importante non è solo vincere.

Un risultato che appare scontato. Ma dare prova che la popolazione (quella di tutto lo “spazio russo”, dalla Federazione alle aree occupate dell’Ucraina fino addirittura alla Transnistria) è vicina a quello che si presenta a queste elezioni più come un comandante che come un leader politico. L’unico punto interrogativo è rappresentato dal cosiddetto “Mezzogiorno contro Putin”, la campagna del dissenso pensata dall’oppositore Maxim Reznik e sostenuta pubblicamente da Aleksei Navalny e ora dalla vedova, Yulia Navalnaya. L’appello rivolto ai critici di Putin è quello di andare a votare tutti nello stesso momento, alle 12. E precisamente alle 12 del 17 marzo, ultimo dei tre giorni in cui sono spalmate queste elezioni. Per gli oppositori, un modo per contarsi e per dimostrare alla Russia e al mondo di esserci. Per Putin un’incognita che tuttavia non sembra destinata a scalfire né il consenso, molto radicato nei vari strati della popolazione, né le certezze sulla tenuta del sistema. Anche la morte in carcere di Navalny è stata assorbita in modo abbastanza rapido dall’opinione pubblica e dal governo. E in attesa che nei vari fusi orari della Federazione si completi il processo di voto, l’unica vera domanda è quella che riguarda il possibile “erede al trono”. Lo “zar” c’è. Ma gli esperti, soprattutto negli Stati Uniti, si chiedono se non sia questo il mandato in cui Putin sceglierà il suo successore.