Esistenze sopravvissute alle prigioni libiche
Emigranti e migranti sono fratelli ma non lo sanno
Salgono in silenzio dalla porta anteriore, man mano che superano le file gli altri passeggeri guardano il posto libero che hanno di fianco. Ma loro non si fermano, sfilano decisi verso il fondo del bus, senza che l’autista glielo dica: vanno a sedersi il più lontano possibile. Dagli altri, dai bianchi. I neri viaggiano dietro nelle corriere a lunga percorrenza che di notte partono dal Sud più profondo: spostano al Nord le esistenze disperate dei migranti, di quelli che sono arrivati dal mare; sopravvissuti alle prigioni libiche, sfuggiti agli abissi mediterranei.
I bianchi viaggiano davanti nelle corriere a lunga percorrenza che partono di notte dal Sud più profondo: spostano al Nord le esistenze in cerca di un lavoro e le vite ferite che sognano una sanità migliore, l’università. Una umanità addolorata, accomunata da una fiammella che cerca ossigeno per non spegnersi. Dovrebbero mischiarsi, abbracciarsi, tenersi per mano: tanto sono simili. Fratelli. Stanno, invece, gli uni dietro e gli altri davanti, fino a che il numero glielo consente, fino a quando non diventano così tanti che il confine non si avvicina, che la frontiera non si fonde, per necessità. Dopo, la notte vince, non c’è più un’ultima fila a spartire. Stanno sullo stesso pullman, ma non viaggiano insieme. Un colore davanti e uno dietro.
C’è una larga fetta d’umanità che non può andare sulle Frecce, a bordo degli aerei: perché non sono a portata delle loro tasche, non potrebbero contenere tutti i loro bagagli, non hanno una certa discrezione, non ci si può salire all’ultimo momento. Vanno sui bus; lì non ci sale la politica, la letteratura, lo spettacolo. Non ci si fanno i sondaggi sulle corriere. Un universo vasto, sconosciuto, che avrebbe bisogno di un nuovo umanesimo, che dovrebbe essere il punto di approdo di buona parte delle risorse del Recovery Fund. Non lo sarà. Meridionali e stranieri viaggiano separati sopra i bus che trasferiscono vita in travaglio, che spostano sangue e promesse tradite. Non è razzismo, non è una regola. È così.
Gli stranieri non vogliono disturbare. I meridionali non vogliono sentirsi gli ultimi in assoluto. I neri si siedono dietro, i bianchi viaggiano davanti: i paladini dei diritti non conoscono nulla delle loro vite, non hanno mai annusato l’odore dei loro viaggi. Migranti ed emigrati sono la stessa cosa. Non lo sanno, dividono il mondo tra il davanti e il dietro. Quando la luce si spegne si spartiscono il sonno, in una sinfonia di ronfi e sospiri senza differenze.
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