L'intervista
Ercolano, parla il sindaco Bonajuto: “Bisogna saper agire. Limitarsi a comunicare? Inutile”
Ciro Buonajuto è il sindaco di Ercolano e vicepresidente nazionale dell’Anci. In un territorio fragile come quello vesuviano, dove la comunicazione può significare prevenzione, sicurezza, fiducia o disinformazione, la sua voce è una delle più dirette, spontanee e solide nel panorama politico locale. In questa intervista parliamo con lui del valore della comunicazione istituzionale, delle sue sfide e della necessità di non sostituirla mai all’azione amministrativa.
Come hai impostato la tua comunicazione istituzionale da sindaco? Ti sei ispirato a un modello?
«Mi sono affidato all’intuito. Quando mi candidai la prima volta, fu proprio la mia spontaneità a essere apprezzata dai cittadini. E così ho continuato: comunicando in modo diretto, senza sovrastrutture».
L’esperienza di Ercolano, nel cuore del Parco del Vesuvio, ha influenzato il tuo approccio alla comunicazione?
«Assolutamente sì. Da un lato, c’è bisogno di una comunicazione immediata, che accorci le distanze tra istituzioni e cittadini. Dall’altro, c’è un’enorme responsabilità: qui parliamo di un territorio ad altissimo rischio, non solo geologico ma anche sociale. La comunicazione, quindi, non può mai essere superficiale o strumentale. Non si può sacrificare sull’altare dei like la correttezza dell’informazione».
Utilizzi spesso i social in modo diretto. Pensi che questo aumenti la fiducia o ti espone a più critiche?
«Espone a più critiche, certo. Ma se hai paura delle critiche, non puoi fare il sindaco. Comunicare direttamente significa anche assumersi la responsabilità del confronto quotidiano, anche quando è scomodo».
Cosa vuol dire oggi «comunicare bene» per un sindaco? Conta di più l’efficacia o la correttezza istituzionale?
«Per me conta dire la verità. L’efficacia spesso è fatta di spot, la correttezza istituzionale di contenuti profondi. Bisogna alternare, ma mai rinunciare alla verità. I cittadini questo lo sentono».
Come si comunica un rischio reale senza generare panico? Avete fatto esperienze in tal senso?
«Sono stato sindaco durante il Covid, purtroppo, e l’ho imparato sulla pelle. Se il rischio è imminente, non hai tempo per preparare le persone. Devi usare il tono giusto, con equilibrio. E devi trasmettere sicurezza, non solo informazioni. I cittadini amano chi dà soluzioni, non chi si nasconde dietro il problema».
Come vicepresidente Anci, hai esempi virtuosi di comunicazione pubblica da citare?
«Ce ne sono tantissimi. I sindaci, quelli per bene, sono esempi quotidiani. Hanno una passione vera, si prendono carico dei problemi reali. Non è solo amministrazione: è missione. Chi non si accontenta di gestire il potere è sempre un riferimento, anche tra mille errori».
Pensi che oggi i social influenzino la capacità di amministrare?
«Assolutamente sì. Chi dice il contrario, mente. Ma non è un male: essere condizionati dai social significa essere condizionati dai cittadini. Io leggo i commenti, li considero. Anche per modificare una scelta o una comunicazione. È una nuova forma di partecipazione».
La comunicazione può rafforzare il rapporto tra istituzioni e cittadini. Come si evitano derive propagandistiche?
«Dicendo la verità. Anche quando fa male. Anche quando il cittadino è stanco di vederti nel telefono. Se sei onesto e trasparente, guadagni fiducia. Se invece inizi a dire bugie per far sognare, perdi credibilità».
Quali sono le nuove sfide per la comunicazione politica e amministrativa a livello locale?
«La più grande sfida è non far sì che la comunicazione diventi alternativa all’azione. Oggi rischiamo di credere che raccontare qualcosa equivalga a farlo. Ma non è così. Se una strada è rotta, va sistemata. E se non ce l’hai fatta, lo devi dire. Con umiltà. La comunicazione deve accompagnare l’azione, non sostituirla».
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