Shimon Peres va annoverato come un padre dello Stato di Israele. È stato premier, ministro della Difesa, degli Esteri e infine presidente della Repubblica, oltre ad aver ricevuto il Nobel per la Pace per il Trattato di Oslo del 1993. Ma è limitativo definirlo uomo delle istituzioni. Lui è stato di più: ha accompagnato la crescita dello Stato nei primi settant’anni, ha lasciato un vero testamento politico sul ruolo di Israele e sul destino del popolo ebraico. Le sue osservazioni lucide lo hanno contraddistinto nel panorama politico israeliano attraverso l’offerta di una visione, di un progetto particolareggiato e lungimirante che ha segnato il suo percorso sin dagli anni Quaranta.

Ogni fase della sua vita ha coinciso con i cambiamenti che hanno segnato il percorso dello Stato sino ad oggi. Lasciando un’impronta personale mai fine a sé stessa, ma facente parte di un disegno razionale per edificare uno Stato che avesse un grande impatto umanitario sulla scena internazionale. Riassumendo, si possono definire tre fasi che caratterizzeranno la sua azione per il processo di crescita nazionale: la sicurezza e il consolidamento internazionale; la ricerca di un processo di pace con i vicini; l’affermazione e la condivisione della sua visione dello stato di Israele nella regione e dei successi economici e scientifici conseguiti.

Peres sin dalla sua ascesa politica si contraddistinse per la capacità di svolgere con successo diverse attività, dimostrando da subito una versatilità nelle pubbliche relazioni che lo portarono ben presto a divenire il pupillo del fondatore dello Stato, David Ben Gurion, che lo incaricava per le più disparate missioni. D’altronde, era tutto nuovo e improvvisato allora, e chi aveva capacità e voglia di agire si doveva rimboccare le maniche e mettersi all’opera: i nemici non mancavano e il lavoro da fare era tanto. Così Peres lo troviamo protagonista negli anni della creazione (mai confermata dallo Stato) dell’industria bellica nucleare di Dimona, grazie alle sue abilità comunicative che lo portavano a instaurare amicizie politiche influenti in Europa e negli Usa. Non disdegnava in queste trasferte anche di implementare pubbliche relazioni con opinion maker, industriali e gotha internazionali: era tra l’altro cugino di primo grado di Lauren Bacall, attrice e stella di Hollywood, con la quale mantenne sempre rapporti stretti.

Dopo aver contribuito in modo rilevante alla sicurezza nazionale, ottenendo che lo Stato d’Israele detenesse un monopolio nucleare in Medio Oriente, e dopo essersi affermato all’interno del partito laburista, Shimon s’impegnò per la soluzione del processo di pace con il mondo arabo, tentandole tutte, anche con il travestimento per incontrare segretamente negli anni Settanta Re Hussein di Giordania. Fino ad arrivare a suggerire una visione di un Medio Oriente pacificato, che – grazie alle sinergie di tutti i Paesi della regione – possa competere con successo per il progresso mondiale nei settori economico e scientifico.

Forte di uno spessore intellettuale rilevante, aveva con l’Europa occidentale un rapporto privilegiato: appena poteva ci metteva piede. Vuoi che fosse per le riunioni dell’Internazionale socialista, stringendo amicizie strette (rivelatesi importanti nel tempo, come con Mitterrand e Napolitano), vuoi per partecipare ai Forum di Cernobbio dello studio Ambrosetti o di Davos, deliziando la platea con le sue brillanti analisi socioeconomiche. E anche Roma era sempre una location presente nella sua agenda: quasi sempre due, tre volte l’anno veniva nella Capitale. Non mancando mai l’occasione di essere ricevuto in udienza privata dai diversi Pontefici che si sono succeduti nel tempo, o per farsi una chiacchierata con diverse personalità dell’ebraismo italiano con cui amava confrontarsi (come con Tullia Zevi, Rita Levi-Montalcini e il rabbino Elio Toaff). Erano appuntamenti piacevoli di un lungo rapporto avuto nei decenni con gli ebrei italiani, di cui amava l’intellighenzia e le buone forme.

Jonatan Della Rocca

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