Fabio Nicolucci, giornalista, analista geostrategico e militare, ha realizzato un libro che approfondisce, anche grazie ad una lunga intervista con i vertici dei servizi segreti israeliani, alcuni retroscena sul 7 ottobre. Il suo “Israele, 7 ottobre Prima/dopo” è appena uscito con Guerini e Associati.

Un anno di guerra, oggi su quattro fronti…
«Siamo in un ciclo di guerre ripartite dal 7 ottobre. Non tutto è iniziato il 7 ottobre, ma quella data è stato uno spartiacque, come è chiaro a tutti. E da lì ha avuto inizio una nuova guerra».

Che fase è?
«Siamo nella guerra del 7 ottobre, un conflitto asimmetrico che vede Israele in guerra contro il terrorismo, con i terroristi di Hamas ma anche con Hezbollah, come è chiaro. E con tutti i proxy dell’Iran, tra cui gli Houthi».

Come è iniziato, perché è iniziato un anno fa?
«Il 7 ottobre non nasce dal nulla. Lo scrivo nel mio libro “Israele 7 ottobre, Prima/dopo” in cui faccio parlare l’ex capo di Shin Bet, Yaakov Peri. Dice che in quel momento Hamas ha visto Israele debole, sovraesposto. Disunito. E la sicurezza viene dall’unità. “Se non hai unità di intenti non puoi avere sicurezza”, mi ha detto. Dando la maggiore responsabilità per questa debolezza al governo».

Cosa è stato per i servizi segreti quel giorno?
«Gli analisti ne danno letture diverse. Un sanguinoso sussulto nella guerra tra Israele e palestinesi, un nuovo 11 settembre, un pogrom contro gli ebrei, un attacco jihadista su larga scala contro l’Occidente: per me è stato tutte queste cose insieme».

Nel libro vengono analizzate le cause, come è stato possibile?
«Analizzo le tre guerre: quella di difesa legittima e doverosa che Israele ha portato avanti per i primi tre mesi. Da gennaio è diventato un conflitto diverso, con le operazioni fuori controllo su Gaza. E la ritorsione in forma di guerriglia dei coloni israeliani sulla Cisgiordania. Queste tre guerre si sono sommate e invelenite. Con Netanyahu che ha deciso di forzare per distruggere militarmente Hamas a qualunque costo, provocando una reazione internazionale. Al momento mancando di strategicità, perché non tutto si può risolvere con le armi».

Il fallimento dell’intelligence è dovuto all’uso smodato di tecnologia a discapito delle fonti Humint?
«Come spiega Yaakov Peri nel libro, Shin Bet ha una grandissima capacità di penetrazione Humint a Gaza. Ma l’intelligence è diretta dalla politica, nelle democrazie. E indubitabilmente Israele è una grande democrazia. Dunque gli errori di valutazione ci sono stati, ma a monte. Non tanto e non solo nell’intelligence».

Perché è stata la politica a dare priorità diverse all’intelligence?
«Sì, il governo ha dato un indirizzo diverso alle attività sul campo. Dicendo di dover proteggere i coloni, di presidiare soprattutto la Cisgiordania, mentre cresceva la minaccia sull’altro fronte, dalla West Bank. Risultato, quel sabato 7 ottobre nell’area che è stata attaccata da Hamas c’erano solo quattro ragazzi di guardia. Cosa nota a Sinwar».

Nessuna fonte ha dato segnali d’allarme preventivi?
«I segnali c’erano e non sono stati valutati bene, come ci dice la disfatta di tutto l’apparato di sicurezza. C’era stata addirittura una prova generale, fatta da Hamas».

Ho capito bene? Avevano fatto le prove?
«Il capo di Shin Bet lo spiega. Ad aprile c’è stata una prova generale dell’attacco, dove i terroristi si erano addestrati a penetrare un kibbutz, pilotare i mezzi per planare in volo…».

E oggi, cosa può succedere?
«Nella testa di Netanyahu c’è l’idea di tentare il tutto per tutto. Nella valutazione degli scenari c’è un rovesciamento di paradigma: è a capo di una grande democrazia ma deve fare a meno della politica, lasciare da parte la diplomazia. E vuole ristabilire la deterrenza che si è rotta il 7 ottobre, sa di dover incutere paura ai nemici di Israele e di dover recuperare credibilità sul terreno militare».

Israele sembra seguirlo, oggi. Non è più solo Netanyahu.
«Oggi sta recuperando autorevolezza presso gli israeliani che fino al 7 ottobre lo avrebbero voluto mandare a processo. Ma ci sono diverse cose che vanno chiarite e che l’intelligence israeliana mi rivela nel libro».

Quali, per esempio?
«Gli Stati Uniti avevano lavorato ad una proposta di pace permanente insieme con l’Arabia Saudita che avrebbe portato all’evoluzione degli accordi di Abramo e al riconoscimento reciproco di Israele e Palestina, due popoli, due Stati. Netanyahu pochi giorni prima del 7 ottobre avrebbe rifiutato categoricamente di procedere sulla strada di quell’accordo».

Come finirà?
«Materia per gli storici. Penso che Israele dovrà promuovere, quando ce ne saranno le condizioni, una commissione d’inchiesta che porti davvero alla luce i fatti retrostanti a quell’attacco che ha cambiato per sempre gli scenari in Medio Oriente».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.