Dopo la tragedia di Gragnano
Giovani e bullismo, la mamma di Arturo: “Vita reale camuffata e genitori che pensano ad altro”
La tragedia di Gragnano, il mondo dei più giovani, le insidie del web, la violenza del bullismo. Ne parliamo con Maria Luisa Iavarone, professore ordinario di pedagogia sperimentale all’università di Napoli Parthenope e presidente dell’associazione Artur (adulti responsabili per un territorio unito contro il rischio).
Professoressa, quale è il suo punto di vista sulla vicenda di Gragnano?
«La vicenda di Gragnano, e lo dico con profondo rispetto ed immenso dolore, è un po’ la sintesi perversa di tante diverse fragilità umane che si incrociano mescolandosi in maniera catastrofica. La fragilità di una ragazzina che non tollera il dolore di un abbandono e si incattivisce al punto da istigare altri suoi coetanei fragili a diventare persecutori del suo ex fidanzato, la fragilità di una relazione familiare e di genitori che non si accorgono del malessere del proprio unico figlio ed infine la fragilità del povero Alessandro, che non trova altra via di uscita alla sua disperazione se non quella di compiere un folle gesto autodistruttivo».
Cosa è accaduto dunque?
«Quello che è accaduto descrive in maniera plastica l’incapacità a comunicare tra esseri umani ed in particolare a portare fuori le nostre reali emozioni e paure. Insomma i ragazzi hanno una chiara difficoltà ad “abitare la loro reale vita interiore”; tutto viene camuffato, coperto, nascosto da un’apparente normalità. Alessandro ci viene descritto come un ragazzo normale anzi bello, alto, bravo a scuola e “vincente”, addirittura legato sentimentalmente ad una ragazza un po’ più grande di lui, quindi la fotografia della vita perfetta, o quasi. Nulla faceva pensare ad un ragazzino debole e bullizzabile».
Eppure, non è andata così… perché?
«Perché in realtà noi adulti, noi insegnanti siamo profondamente incapaci di riconoscere e misurare i silenzi dei nostri studenti, dei nostri figli. Alessandro è descritto dai suoi insegnanti come uno studente di buon profitto, perfettamente integrato, autoefficace ed adeguato. La sua scuola, grazie alla presenza del docente referente contro il bullismo, peraltro organizzava incontri di sensibilizzazione periodici eppure, anche in quelle circostanze, Alessandro non aveva mai palesato alcun disagio a riguardo».
Quindi…
«Evidentemente queste attività non funzionano o comunque producono solo una “empatia di superficie” che, di fatto, non incide negli strati profondi della coscienza giovanile. A scuola, ad esempio, l’insegnamento di educazione civica dovrebbe essere inteso maggiormente come “moral litteracy” ovvero quella alfabetizzazione morale che ti insegna a distinguere e a fare la differenza tra ciò che è bene e ciò che è male, tra l’opportuno e l’inopportuno, tra il giusto e lo sbagliato».
Ma questo, mi scusi, non lo dovrebbero imparare già in famiglia?
«Infatti, il problema è proprio questo: l’educazione al pensiero morale, dicono gli scienziati che lo hanno studiato, va insegnato soprattutto dai genitori a partire dalla seconda infanzia. Spesso i genitori trascurano questi aspetti dando priorità ad altri bisogni dei loro figli, regolano poco gli spazi e i tempi dell’educazione a partire dall’uso delle tecnologie fino a rimanere con sguardi smarriti e sgomenti quando scoprono i figli vivere vite completamente diverse da quelle che essi immaginano».
Lei sta lanciando da molto tempo questa preoccupazione…
«In effetti sì, lo faccio da sempre in ambito accademico e scientifico, ora vorrei tentarci anche in sede politica e legislativa. Questa motivazione mi ha spinto ad accettare un ulteriore sfida: quella di candidarmi al parlamento alle prossime elezioni per il collegio di Campania 1 con i Verdi-Sinistra Italiana. Sono sinceramente preoccupata del fatto che nelle agende politiche elettorali non si parli affatto di prevenzione educativa, di disagio giovanile e di concreto rischio per i nostri giovani. La politica economica e sociale main stream si preoccupa molto di transizioni digitali, ambientali mentre invece entrambe fanno parte della più grande transizione: quella umana!».
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