Raggiungere due obiettivi assoluti e interdipendenti
Gli schiaffi di Trump non sono un capriccio ma una wake up call per l’Europa intera
Per i prossimi tre anni del suo mandato, il Presidente Trump non ha intenzione di limitarsi alla gestione ordinaria. Al contrario, mostra un’ansia di realizzazione estrema, un tratto distintivo di questa fase della sua leadership che non era così pronunciato all’inizio della sua esperienza presidenziale. Ma questa urgenza è dettata da una lucidità tattica: raggiungere due obiettivi assoluti e interdipendenti.
Pace e contenimento: la nuova dottrina Trump
Il primo obiettivo è fondato su una convinzione profonda del Presidente: pace e contenimento. Trump crede fermamente che il compito più importante di un Presidente USA sia preservare la sovranità nazionale, assicurando che il Paese non sia mai vulnerabile o ricattabile da altri attori globali. Tuttavia, l’approccio non può essere quello classico della “pace attraverso la forza” reaganiana. La realtà odierna è implacabile: gli Stati Uniti non dispongono più dell’hard power militare sufficiente per dominare in modo sostenuto in tutti e tre i teatri critici: Asia, Medio Oriente ed Europa. Semplicemente, la capacità di proiezione di forza è limitata. Di fronte a questa limitazione, e sapendo che la spesa per la difesa, pur raggiungendo i mille miliardi di dollari all’anno, non produrrà un apparato militare radicalmente migliore nei prossimi quattro anni, come si può ottenere un vantaggio qualitativo sui rivali e assicurare una deterrenza multidimensionale duratura? La risposta si articola su due binari: l’uso mirato di capacità di nicchia e, soprattutto, un massiccio affidamento sugli alleati.
L’alleato centrale, ma ricalibrato
Gli alleati sono, quindi, centrali in questa strategia, come viene anche esplicitato nella Strategia di Sicurezza Nazionale. Ma Trump è chiaro: vuole gli alleati di cui ha bisogno, non semplicemente quelli che esistono per inerzia storica. È in questo contesto che si inquadra la sua tattica di “prendere a schiaffi” l’Europa e, in modo analogo, i partner in Medio Oriente. La logica è brutale ma coerente: se si vuole un ambiente di sicurezza collettiva funzionante, tutti devono “alzare il livello”, contribuendo in modo sostanziale, non solo in termini militari hard, ma anche attraverso ruoli di partenariato più attivi e diversificati. L’America non è più il gendarme unico e universale.
La prosperità interna come priorità assoluta
Il secondo obiettivo irrinunciabile per Trump è la prosperità economica interna. Il Presidente deve assolutamente consegnare risultati tangibili: salari più alti, disoccupazione più bassa e, sì, anche la riduzione dell’inquinamento, inteso nell’ottica di un’efficienza economica dei processi produttivi interni. Questa priorità spiega perché alcune iniziative di partenariato con l’estero possono apparire “non convenzionali”: l’intera attenzione della Casa Bianca è focalizzata sui benefici economici che ricadono sul popolo americano. Accordi e partnership che garantiscono denaro, investimenti e crescita interna sono, per il Presidente, estremamente attraenti e cruciali. La politica estera è qui vista come un driver diretto di crescita nazionale.
La svolta del “Deal-Making” e la burocrazia
L’agenda di Trump è ambiziosa, globale e deve essere attuata rapidamente. Un elemento chiave che ne definisce il metodo è il suo disinteresse per la lenta e stratificata burocrazia federale statunitense, che non è incline a un’azione bottom-up. Se l’obiettivo è muoversi velocemente e non incappare nel classico percorso decisionale: idea dal basso, Dipartimento, NSC, Casa Bianca; diventa essenziale ricevere proposte già pronte, concrete e operative direttamente da attori esterni. Ed è qui che l’arte del “deal-making” trumpiano assume una valenza strategica. Presentare direttamente al Presidente o al suo inner circle un pacchetto chiaro, già negoziato e definito, è la via più seducente. Permette di agire immediatamente, bypassando l’inerzia e le frizioni della macchina federale. Per l’Europa, questo significa che solo le proposte che portano chiari vantaggi reciproci – e che dimostrano che l’Europa ha “alzato il livello” – troveranno ascolto a Washington.
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