Lorenzo Guerini, deputato del Pd, dal 2019 al 2022 ministro della Difesa, è il presidente del Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica.

Guardando alle urne americane, siamo davvero a un bivio della storia?
«Un passaggio che presenta un’alternativa forte, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con l’Europa. Dobbiamo aspettarci, chiunque vinca queste elezioni, uno sguardo strategico particolare verso l’indopacifico».

Cosa succede se vince Harris?
«È chiaro che Kamala Harris, pur essendo di una generazione diversa da Biden, si inserisca in un filone di relazione forte con l’Europa. Anche con alcuni punti dell’agenda che possono rappresentare criticità o difficoltà, ma senza mettere mai in discussione la relazione con l’Europa».

E se prevarrà Trump?
«Una eventuale presidenza Trump quella relazione la metterebbe in discussione: sarebbe da subito molto più critica. Anche per quanto concerne le politiche di sicurezza e difesa, una potenziale rivisitazione – non so bene in quale senso – degli equilibri interni all’Alleanza atlantica, che mette in discussione forse non i fondamentali ma sicuramente in una chiave molto più pesante».

E c’è il tema delle democrazie liberali.
«Mentre la Harris ha una posizione molto più chiara, da questo punto di vista, le parole di Trump, soprattutto in questi ultimi giorni, hanno destato molti interrogativi. Dove dice che gli alleati non sono così amici, e che i nemici possono essere più amici di quello che si pensa, c’è un tasso di ambiguità preoccupante verso quei regimi che sono tutt’altro che democrazie e che certamente non si ispirano alle grandi democrazie liberali».

Poi c’è il dossier Ucraina. Il popolo ucraino vive ogni giorno, un po’ dimenticato anche dai media, una guerra sanguinosa, durissima.
«Un tema centrale. Aleggia sopra questa campagna elettorale una incognita pesante. Non voglio esprimere pregiudizi però una vittoria di Trump oggi vede più punti interrogativi che certezze. E c’è molto in gioco. Al di là della democrazia americana, il suo sviluppo, il suo essere faro delle democrazie del mondo, come si vede non siamo davanti a una campagna elettorale normale, dove si confrontano due opinioni diverse. Qui sono in gioco equilibri che riguardano il mondo e l’Europa molto da vicino».

Questo si dice ogni volta, che sono le elezioni più importanti di sempre…
«Si dice ogni volta, ma stavolta è sotto agli occhi di tutti che il pianeta intero aspetta la conclusione di questa campagna, che come dicevo si carica di straordinarietà».

Cosa può succedere per quanto riguarda la Nato? La destra americana parla di Wake up call, un risveglio necessario dei partner europei…
«Certamente c’è un tema di maggiore bilanciamento dell’Alleanza Atlantica in termini di maggiore responsabilità, di maggior impegno e investimenti da parte dei partner europei. E questo tema ci sarà a prescindere dall’inquilino che andrà alla Casa Bianca. Gli americani si chiedono sempre più spesso perché devono pagare loro il conto per l’Europa. È evidente che con le reticenze del passato – e di un passato anche recente – nell’opinione pubblica europea si è diffusa l’idea che la nostra sicurezza fosse compito degli Stati Uniti, e non di noi singoli paesi che dell’Alleanza facciamo parte. Il peso di ciascuno nelle decisioni deve vedere, parallelamente, crescere il peso delle responsabilità. Da questo punto di vista alcune frasi di Trump in campagna elettorale lasciano aperti molti punti interrogativi. Poi, alla prova dei fatti, bisognerà vedere se si trattava solo di campagna elettorale. La richiesta americana di un maggior impegno degli alleati europei era già nata con Biden, certamente in una eventuale presidenza Trump sarà giocata in maniera più rivendicativa. Più forte».

Sarà la volta buona per mettere i partner al lavoro su un modello di difesa europeo?
«Dobbiamo proseguire sulla strada della costruzione della difesa europea. Non c’è dubbio. Perché la difesa europea da un lato è il rafforzamento dell’autonomia strategica europea e dall’altro lato il rafforzamento del pilastro europeo dell’alleanza atlantica. Questa dinamica, questo confronto non può prescindere dalle ragioni di fondo dell’Alleanza, fondamentali per la nostra sicurezza e per quella degli Stati Uniti».

Andrà ripensata anche la Nato?
«Una Nato forte con un pilastro europeo che si rafforza consente agli Stati Uniti di indirizzare maggiormente le proprie risorse sullo scacchiere indopacifico. Quello è lo scacchiere a cui devono guardare con maggiore attenzione, al di là di quello che sta avvenendo in Europa, con la ripresa di una politica imperialista russa con la quale dobbiamo confrontarci noi come Europei e come Occidente nel suo complesso. Non in termini di confronto militare ma di rafforzamento della capacità di deterrenza e di difesa degli interessi di sicurezza europei».

Dal punto di vista delle istituzioni italiane ed europee, chi converrebbe avere a Washington?
«Fermo restando che decidono gli americani e che il loro voto va rispettato, se guardiamo a una relazione più cooperativa tra le due sponde dell’Atlantico – per quello che abbiamo sentito in campagna elettorale – una eventuale presidenza Harris è più rassicurante dal punto di vista della stabilità delle relazioni. Avendo chiaro che il rafforzamento delle nostre responsabilità come Europei è un tema ineludibile a prescindere da chi sarà eletto Presidente».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.