Il partito liberaldemocratico è auspicabile che definisca quanto prima il proprio progetto organizzativo. Non è un dettaglio da poco conto per una forza politica che si autodefinisce “partito”. Quasi tutte hanno evitato di farlo negli ultimi tre decenni poiché la parola “partito” è invisa ad una parte degli elettori. Adottarla nel proprio nome è indubbiamente un atto di coraggio. Ma bisogna poi trarne le conseguenze per non deludere.

Un partito ha la funzione di organizzare la partecipazione politica dei cittadini non solo al momento delle elezioni ma in modo continuativo. L’astensionismo segnala che gli elettori sono stufi di sentirsi chiamare in causa solo al momento del voto. Vorrebbero essere coinvolti anche nella formulazione dei programmi, nella verifica dell’attività degli eletti uscenti e nel reclutamento e selezione dei candidati. E siccome i programmi sono fatti alla vigilia del voto e le liste sono decise dal segretario, reagiscono disertando le urne.

In una intervista concessa ad Antonio Bompani per Radio Leopolda, Giuliano Amato ha ricordato che nella Costituzione il diritto alla partecipazione politica è previsto dall’articolo 3. Spesso il senso di questa norma è stato così semplificato: la Repubblica rimuove gli ostacoli che impediscono l’eguaglianza. In realtà, c’è scritto: la Repubblica rimuove gli ostacoli, i quali, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscono l’effettiva partecipazione di tutti. La finalità è, dunque, la partecipazione. E per rimuovere gli ostacoli, la Costituzione ha sancito, all’art. 49, il diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Se viene, dunque, a mancare la partecipazione attraverso i partiti, le democrazie liberali perdono il collante principale tra società e stato. A tale proposito, Sabino Cassese ha scritto che oggi tale vuoto “viene riempito da una forma nuova di corporativismo, nel quale prevale la voce degli interessi organizzati”. E cosi sono i particolarismi a prevalere sulle opinioni, sui convincimenti o sui principi. In questo modo la democrazia langue. Essa è fatta di scelte che devono essere condivise, di decisioni che i governanti devono prendere sulla base di consapevole consenso. Se non è così le decisioni poi non funzionano. I regimi autoritari le fanno funzionare con la costrizione. Le democrazie possono farlo solo con la convinzione, attraverso il dialogo, l’ascolto reciproco e la ricerca di punti d’incontro.

C’è nella società una domanda di voler contare, avere un peso, essere rilevanti nelle scelte e nelle decisioni politiche. Una domanda che un partito dovrebbe soddisfare predisponendo la infrastruttura necessaria per poter partecipare all’attività politica. Non c’è contraddizione tra questa domanda di partecipazione e l’aumento dell’astensionismo elettorale. Se verrà soddisfatta la prima, potrà ridursi l’altro.
Si tratta di rispondere alle aspettative di chi ha intenzione di investire nella loro vita una parte delle proprie risorse, economiche e soprattutto temporali, per l’attività politica. Ci vogliono norme che rendano contendibili ruoli interni e cariche. Ci vogliono programmi operativi per costituire organismi di base in modo diffuso a livello comunale e, nelle grandi città, a livello municipale. Ci vogliono procedure per ascoltare costantemente gruppi di interesse, associazioni, comitati di cittadini, per poi svolgere una funzione di mediazione e sintesi delle diverse esigenze e trasformarle in politiche pubbliche. Ci vogliono regole per coordinare i comportamenti dei vari rappresentanti e per verificare il loro operato. Se gli iscritti e i simpatizzanti di un partito saranno coinvolti in tali funzioni, si sentiranno a tutti gli effetti organizzatori della democrazia rappresentativa e avvertiranno un senso di gratificazione che li porterà a partecipare alle consultazioni elettorali.

Il partito appena nato deve possedere un chiaro profilo liberaldemocratico, da rappresentare con orgoglio nella sua pluralità, forte della convivenza di visioni convergenti sui programmi ma anche di visioni diverse. Deve poi mostrare un pronunciato volto europeista non solo con l’adesione all’Alleanza dei liberali e democratici europei, ma anche con l’intento di convincere gli altri partner a trasformarla in un vero partito unionale a cui si possa aderire singolarmente. Una Ue sovranazionale autonoma dagli stati membri può essere edificata solo da partiti sovranazionali autonomi dai partiti che operano a livello dei singoli stati. Sul piano interno, il nuovo partito deve offrire senza ambiguità un’alternativa credibile ai due poli di destra e di sinistra. Ma tutto questo non può bastare. Deve anche dotarsi di un efficace progetto organizzativo per essere un partito strutturato e raccogliere la domanda di partecipazione dei cittadini alla vita politica.

Alfonso Pascale

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