L’intervento, qualche giorno fa, di Luigi Zanda in Senato, in merito all’assoluzione (la numero 19!) dell’ex sindaco di Napoli Antonio Bassolino; la morte di Francesco Nerli, ex presidente dell’autorità portuali Napoli assolto dopo otto anni tra indagini e processo; la sortita di Antonino Ingroia, oggi spoglio della toga inquirente, a proposito del supporto della ‘ndrangheta nella ingegnerizzazione del Coronavirus, dall’altro, ripropongono – assieme – le deflagranti tematiche afferenti alla responsabilità civile dei giudici e al preliminare test psico-attitudinale per accedere al concorso in magistratura.

Tematica, quest’ultima, a mio avviso, quanto mai urgente e mai sufficientemente trattata, connessa, come dicevo, con la grande criticità del sistema giustizia nel nostro Paese: la responsabilità civile dei magistrati.  Ad oggi, le norme vigenti tratteggiano una totale irresponsabilità delle toghe, malgrado gli innumerevoli e clamorosi errori giudiziari che hanno avuto (e hanno) conseguenze gravissime sulle vite di singoli cittadini e sull’intera vita della nazione. Non è giustificabile né moralmente accettabile che questa privilegiata categoria di funzionari dello Stato non sia sottoposta a responsabilità civile per i propri errori, se non in casi estremamente rari, a differenza di tutti gli altri dipendenti dello Stato per i quali la responsabilità civile presenta maglie più larghe. Peraltro aiutata da una imbelle classe politica che non vuole mettere mano alla spinosa questione per opportunismo e per viltà.

A questo punto mi chiedo: perché non immaginare almeno un serio percorso della Corte dei conti che possa indagare sugli sprechi (intercettazioni telefoniche e ambientali, trojan, attività di servizio e così via) al fine di sanzionare adeguatamente chi, con colpa grave, abbia in maniera spesso pruriginosa squassato le vite del prossimo senza patirne almeno conseguenze patrimoniali?

Non è da sottacere che, nel caso dei processi a Bassolino come per altri in analoghe circostanze, il danno erariale è finanche acuito dai compensi da corrispondere agli ottimi avvocati che hanno assistito i perseguitati di turno nel corso di lunghi calvari giudiziari. Il test psicoattitudinale, dicevo: da premier, Silvio Berlusconi accennò a un timido approccio, ma venne stroncato con massiva levata di scudi della corporazione, forse scaturente dalla consapevolezza che ben pochi avrebbero potuto superare gli esami che da sempre caratterizzano gli ingressi nella pubblica amministrazione. L’accesso al concorso in magistratura non può essere basato solo su mnemoniche conoscenze (allora sia un computer a decidere!) o, anche, come emerso in recenti episodi ben raccontati dalla stampa, su compromessi che denotano un critico profilo neuropsicologico degli aspiranti candidati suscettibile, ad addendum, di futuri ricatti.

Un excursus delle carriere di alcuni magistrati induce a ritenere che le scelte apicali del sistema giudiziario siano direttamente proporzionali ai flop giudiziari (caso Tortora docet) collezionati in carriera. Considerazione rafforzata dalla recentissima vicenda che ha visto sacrificare l’ex presidente del sindacato delle toghe ed ex membro del Consiglio superiore della magistratura, Luca Palamara, all’altare di una giustizia sommaria che ha voluto individuare il capro espiatorio lasciando così intatta quella deriva irreversibile del sistema giudiziario italico che sovente consente di fare da trampolino di lancio per carriere politiche, giornalistiche, storiografiche e, spesso, fumettistiche.