Inesorabilmente accade che la cronaca si incarichi, senza preavviso ma con precisione chirurgica, di rendere chiari principi giuridici di regola riservati ai chierici di quel sapere (magistrati, avvocati, docenti universitari). La fitta nebbia che avvolge il latinorum dei giuristi, i cavilli degli avvocati, il linguaggio solenne, criptico ed escludente di sentenze, pandette e digesti, viene improvvisamente squarciata e dissolta dal fatto di cronaca eclatante che turba le coscienze sonnolente o semplicemente inconsapevoli, rendendo improvvisamente quel materiale, così ostile ed ostico, un tumultuoso lievito di dibattiti, trasmissioni televisive e diatribe social furibonde.

Noi di PQM, lo confessiamo, ne approfittiamo golosamente, facilitati da queste miracolose evoluzioni delle vicende sociali nel perseguimento della nostra mission: far comprendere ai non giuristi – però con rigore scientifico, non con chiacchiere e spropositi in libertà – che le regole del diritto, soprattutto quando riguardano la persona ed i presìdi delle sue libertà, sono un patrimonio vitale di ciascuno di noi. Semplicemente, i più non lo sanno. Avreste mai immaginato che, da un giorno all’altro, facessero irruzione nelle case degli italiani i temi della “impugnabilità delle sentenze assolutorie”, della “doppia conforme assolutoria”, dell’ “al di là di ogni ragionevole dubbio”, e compagnia cantando? E invece eccoci qui, non si parla d’altro da settimane (insieme ad improbabili tornei televisivi sulla prova scientifica, l’incidente probatorio, i consulenti e i periti, eccetera eccetera). Perciò oggi vi offriamo contributi di riflessione (posso dirlo? Assai pregevoli, merce rara concentrata in quattro pagine di un giornale, che assai difficilmente troverete altrove) sul tema della impugnazione delle sentenze di assoluzione da parte del Pubblico Ministero.

È ben chiaro il nostro punto di vista, che abbiamo perciò voluto illustrare e scandagliare in ogni suo risvolto: va precluso al Pubblico Ministero il potere di impugnazione delle sentenze assolutorie. Le ragioni, in sintesi, sono due. La prima: se la regola fondativa del potere statuale di condannare penalmente una persona è che la prova della sua colpevolezza sia raggiunta “al di là di ogni ragionevole dubbio”, la esistenza di un primo giudizio assolutorio preclude di per sé un secondo giudizio di condanna in grado di rispettare quella regola. La seconda: se l’imputato, assolto in primo grado, viene condannato in appello (sia quel giudizio successivo al primo che – a maggior ragione – successivo ad annullamento da parte della Corte di Cassazione dopo una doppia conforme assolutoria), è certo che a costui viene precluso, dopo l’improvvisa condanna, un secondo giudizio di merito, restandogli esclusivamente lo strumento – assai più limitato – del ricorso per Cassazione.

È soprattutto questo secondo profilo del problema ad essere stato sorprendentemente ignorato dalla Corte Costituzionale nella sentenza che dichiarò incostituzionale la benemerita riforma Pecorella. E quindi occorre ritornare sul tema, con tutto il rispetto per la Consulta. Anche perché il legislatore se ne è reso conto negli anni, prima precludendo al PM il ricorso in Cassazione per vizio di motivazione avverso una doppia conforme assolutoria (per la cronaca, come vi spieghiamo in Quarta Pagina: oggi Alberto Stasi sarebbe definitivamente un innocente); poi precludendo l’appello del PM avverso le sentenze assolutorie rese dal giudice monocratico (insomma, per i reati “meno gravi”). Un significativo “vorrei ma non posso”, che dobbiamo lasciarci alle spalle, senza farci paralizzare da una delle sentenze meno “felici” nella storia della Corte Costituzionale. Tanta roba, e buona, anche questa settimana. Buona lettura!

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Avvocato