Come in ogni cause celebre, nel caso Garlasco ce n’è per tutti i gusti, palati più o meno fini. Sembra impossibile sottrarsi alla tentazione di dire la propria, dinanzi alla generalizzata sete di ragguagli, spesso “drogata” dai mezzi di informazione. La gente vuole mettere la sera la testa sul cuscino tranquilla: errori giudiziari non ce ne possono essere e i colpevoli di gravi delitti sono assicurati alla giustizia. Ma, a turno e in ordine sparso, intervengono opinionisti, giornalisti, inquirenti in servizio e in pensione, criminologi, medici legali, magistrati, avvocati difensori, cronisti e giuristi di vario rango ed estrazione e, perfino, il Ministro della Giustizia. I commenti accompagnano stillicidio di notizie, ridda di illazioni, enfasi dei colpi di scena. Cautela e riserbo sarebbero d’obbligo.

Staccarsi dalla mischia

Tacere appare, però, difficile, almeno quanto stare appresso alla girandola di informazioni e convivere con possibili verità doppie, se non addirittura triple e assai poco compatibili tra loro. Bisognerebbe staccarsi dalla mischia, evitare il più possibile di trinciare giudizi anticipati di colpevolezza o tardiva innocenza. Mentre, al posto di vecchi condannati e nuovi sospettati, sul banco dovremmo oggi collocare il “vero” imputato: un sistema giudiziario capace di moltiplicare i “mostri”. Toccherà forse agli storici stabilire se le colpe vadano attribuite in misura eguale oppure diversa a leggi e/o uomini chiamati ad interpretarle, sulla scia della polemica che vide contrapposti Verri e Manzoni intorno al processo agli untori.

Quesiti inquietanti

La mala figura del nostro sistema processuale solleva, comunque, quesiti inquietanti. Sorprende l’overturning di doppie assoluzioni, ancor più se basate sull’esame integrale del fascicolo dell’indagine, giacché emesse con giudizio abbreviato in primo grado, confermato in appello. Duplice verdetto di innocenza annullato su ricorso di un’accusa la cui inchiesta era stata sconfessata. E la Cassazione che sovrappone una propria lettura delle carte, anziché registrare il ragionevole dubbio, ridotto a sterile formuletta. Modo di procedere che privilegia l’accusa e segna la disgrazia giudiziaria di Stasi, ma di regola negato a migliaia di imputati in base a sempre più angusti limiti del controllo di legittimità sulla motivazione.

Rulli di tamburo

Adesso, sbandierato nella piazza mediatica, il convulso tentativo di rimettere in discussione un’inchiesta prima seccamente sconfessata, poi assurdamente premiata e ormai probabilmente culla di un imperdonabile errore giudiziario. I più politicizzati potrebbero parlare di guerra tra Procure vecchie e nuove, ma simile approccio soddisfa ben poco. Nulla esclude, infatti, che si gettino i mattoni per ulteriori errori giudiziari; se ne odono inquietanti i rulli di tamburo. Meri indizi, labili e incerti, se non inesistenti elevati al rango di vere e proprie prove decisive, sulla base delle notizie che filtrano, rimbalzano e si amplificano sulla stampa. Ad essi si affiancano mirabolanti ed incontrollate ipotesi, in una sorta di strana gara a chi la spara più grossa, contribuendo a creare un groviglio inestricabile. Nel frattempo, interrogatori ad eruendam veritatem. Dell’indagine rischia di residuare solo la veste formale e la micidiale potenza distruttiva, senza alcuna sostanza. L’inquisizione generale non risparmia nessuno dei possibili coinvolti, fabbricandone addirittura alcuni di pura fantasia.

I cold case all’italiana

Allo sbando segreto investigativo e concetto di prova, alle ortiche presunzione d’innocenza e ragionevole dubbio. L’insana e voyeuristica passione per i cold cases all’italiana ha preso la mano, pronta a generare nuovi presunti colpevoli, sempre all’ombra di processi meno che indiziari. Nell’assurdo scenario inquisitorio, il giudicato di condanna di Stasi e, perfino, lo stesso condannato definitivo si aggirano come altrettanti dead man walking. Svelano il paradosso e denudano l’ipocrisia del percorso di rieducazione penitenziaria intrapreso da un probabile innocente, en attendant nuovi mostri che lo affianchino o sostituiscano.

Luca Marafioriti

Autore

Ordinario di Procedura Penale