Tra le fila della sinistra dopo il flop del referendum, mascherato senza successo, regna la tensione. Un’aria di discordia interna sottolineata dai brontolii dei riformisti dem, critici sui quesiti per l’abrogazione del Jobs Act, che hanno interpretato come una battaglia anacronistica e autolesionista. È un momento delicato, a tratti imbarazzante, e lo si percepisce anche dalle elusioni degli stessi riformisti, circa una quindicina, messe in atto per sottrarsi al confronto proposto dalla nostra diretta di ieri.

La sinistra licenziata dagli elettori”, il titolo dell’Ora del Riformista andata in onda ieri sui canali del quotidiano per approfondire la crisi emersa, in seguito al referendum delle divergenze, nel fronte dei democratici. Alla discussione, moderata da Aldo Torchiaro, hanno preso parte Luigi Di Gregorio, docente di comunicazione presso l’Università della Tuscia di Viterbo, Valeria Pernice, fondatrice di Orizzonti Liberali, Lorenzo Pregliasco, sondaggista e direttore di YouTrend, Marta Schifone, deputata di FdI e il direttore Claudio Velardi.

Provare a riconoscere il bicchiere mezzo pieno dopo una completa disfatta si è rivelata, come evidenziato da Di Gregorio, una strategia fallimentare: «Il centrosinistra ha sbagliato con l’analisi post-elettorale, intestandosi milioni di voti dal referendum e confrontando numeri incomparabili». Un tono trionfale che ha finito per distorcere il senso del voto dell’8 e del 9 giugno: «Diventa irrispettoso nei confronti di chi ha votato per il referendum, convinto che non fosse un’elezione politica o un sondaggio nazionale». Sulla stessa linea, Pregliasco ha messo in luce le falle dei numeri enfatizzati dai dem: «L’idea che la soglia di 12 milioni e mezzo sia stata raggiunta è molto discutibile alla luce dei risultati. Sono stati sommati i voti degli italiani all’estero, senza sommare dall’altra parte i voti all’estero che il centrodestra aveva preso alle politiche. O ancora – ha proseguito il sondaggista – non si è tenuto conto del risultato diverso ottenuto nel quesito sulla cittadinanza rispetto a quelli sul lavoro».

Una scelta comunicativa divisiva e fuorviante, quella del Pd, che ha lasciato contrariata Pernice: «Ci siamo trovati ad affrontare il referendum senza avere neanche un’unità da comunicare agli elettori. La de-esemplificazione che è seguita alle votazioni non fa altro che demotivare la partecipazione dei cittadini». E sempre sulla strategia post-elettorale dei dem si è soffermato Velardi: «Il Pd ha costruito la sua valutazione sui milioni di elettori dentro una grande bolla di comunicazione, senza tenere in alcun conto la realtà che ha determinato questo risultato».
Schifone è tornata sulla disfatta delle votazioni: «è stato fatto un capolavoro di incoerenza. Si è andati a un referendum dove lo stesso Pd chiede di abrogare il Jobs Act che era stato votato da loro stessi». E si è poi concentrata sul mondo del lavoro: «Rispetto al Jobs Act, su cui è stata fatta una battaglia di retroguardia, ci troviamo in un mercato del tutto stravolto da una crisi dell’offerta. Siamo chiamati a nuove sfide con l’IA e con le nuove tecnologie che incidono sui lavori con un’alta proprietà intellettuale».