Albert Camus, filosofo esistenzialista, ha introdotto uno dei problemi filosofici più profondi e fondamentali: il suicidio e la valutazione del significato della vita. Il suo celebre lavoro “Il Mito di Sisifo” si apre con questa provocatoria affermazione: “Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia”.
Questo interrogativo è il filo conduttore che attraversa l’intera riflessione filosofica di Camus, dalle sue considerazioni su Sisifo fino al suo libro del 1951, “L’Uomo in Rivolta“. Quest’opera non è solo una meditazione esistenziale, ma si rivela anche come un manifesto politico e un lascito per le future generazioni. In un’epoca in cui l’Occidente, e l’Europa in particolare, sembrano smarrire il proprio scopo e una visione del futuro, la lettura attenta di questo libro potrebbe rivelarsi una fonte di ispirazione per una rinascita collettiva. Camus traccia un percorso attraverso la filosofia degli ultimi due secoli, in cui l’inquietudine è la costante che lo guida mentre cerca una risposta alla domanda fondamentale: di fronte all’assurdità della vita e agli orrori della guerra, ha senso continuare a vivere? Il nichilismo dell’Übermensch, l’oltreuomo nietzschiano, rappresenta la risposta definitiva della coscienza umana?

Per Camus, l’essenza dell’essere umano è strettamente legata alla rivolta. Secondo il filosofo, ogni rivoluzione sembra trovare le sue radici in un atto di rivolta, una rivolta metafisica dell’uomo contro lo stato presente delle cose. Potremmo affermare che “l’uomo in rivolta è un uomo che dice no e, allo stesso tempo, sì.” Il movimento di rivolta si basa contemporaneamente su un rifiuto categorico di un’ingerenza ritenuta intollerabile e sulla confusa convinzione di avere un diritto giusto, o più precisamente, sull’impressione che, nell’atto di rivolta, si sia in qualche modo e da qualche parte in possesso di una ragione. In senso etimologico, la rivolta rappresenta un voltafaccia. L’individuo che in passato camminava sotto il giogo di un oppressore ora si fa avanti per affrontarlo. Come scrive Camus: “la rivolta con questo, prova di essere il moto stesso della vita, e non la si può negare senza rinunciare a vivere. Il suo grido più puro, ogni volta, suscita un essere. È dunque amore e fecondità, o non è niente. La Rivoluzione senza onore, la rivoluzione del calcolo che, preferendo un uomo astratto all’uomo di carne, nega l’essere tante volte quante occorrono, mette appunto il risentimento al posto dell’amore. Non appena la rivolta, dimentica delle sue generose origini, si lascia contaminare dal risentimento, nega la vita, corre alla distruzione e fa alzare la coorte ghignante di quei piccoli ribelli, seme di schiavi, che finiscono per offrirsi, oggi, su tutti i mercati d’Europa, a qualsiasi servitù”.

Oggi, l’Europa si sta ribellando contro qualcosa, o sta accettando passivamente di essere venduta al miglior offerente? A cosa dice si e a cosa dice no? Quello che sembra prevalere oggi in Europa, ma non solo, è una concezione dell’Übermensch che esiste al di là del bene e del male, invece di immergersi nel male per trasformarlo in bene. In altre parole, il fantasma che si aggira per l’Europa è lo spettro dell’indifferenza. D’altra parte, la morte della morale, proclamata da Nietzsche, ha portato al mettere i valori in secondo piano. Come scrive Camus, Nietzsche aveva riconosciuto che “se la legge eterna non è libertà, ancora meno lo è l’assenza di legge. Se nulla è vero, se il mondo è senza norma, nulla è proibito: per vietare un’azione, occorrono un valore e un fine. Ma allo stesso tempo nulla è autorizzato: valore e fine occorrono anche per eleggere un’altra azione. L’imperio assoluto della legge non è libertà, ma l’assoluta disponibilità neppure. Tutti i possibili sommati insieme non fanno la libertà, ma l’impossibile è schiavitù. Non c’è libertà se non in un mondo nel quale ciò che è possibile si trovi definito insieme a ciò che non lo è. Senza legge, nessuna libertà”.

In sostanza, senza legge, non c’è libertà. Nel momento in cui la rivoluzione, che ha portato secoli di sofferenza, riflessione, lotte, rivoluzioni e guerre per costruire le istituzioni che oggi conosciamo, perde la sua radice, ovvero l’atto di ribellione secondo Camus, perde la sua essenza. C’è il pericolo di perdere il grido più puro, l’amore e la fecondità, a favore di una neutralità sterile e asfittica, di un mero sopravvivere. Quando le leggi e la rivoluzione, diventate strutture, perdono il contatto con l’essenza che le ha generate, diventano entità vuote. Questo è il riflesso perfetto dell’uomo postmoderno che le ha create. La ribellione si manifesta e si perpetua attraverso la vera creazione, non attraverso la critica o il commento. A sua volta, la rivoluzione può avere successo solo in una civiltà, non nel terrore o nella tirannia. L’atto creativo sfida il mondo della metafisica, rifiuta il reale per renderlo regale. Camus afferma che “la rivoluzione è amare un uomo che non è ancora venuto all’esistenza”. Oggi più che mai, le riflessioni di Camus, in particolare quelle contenute in “L’Uomo in Rivolta”, risuonano nelle coscienze di un’Europa e di un Occidente esausti, che sembrano aver accettato il suicidio in nome di un Übermensch distante dalla realtà, asettico, neutrale e indifferente.

L’assurdità e la tragicità dell’esistenza sembrano essere diventate insopportabili, e si preferisce la sedazione, il rifugio nell’Übermensch che tutto può ma nulla fa, nell’uomo che, abbattuto il dio della morale, si trova di fronte all’orrido vuoto dell’infinita possibilità, della libertà al di là del bene e del male, in un paradiso artificiale. Per Camus, è proprio quando l’uomo scopre di essere Dio che cade nel nichilismo. È a questo punto che il filosofo scrive alcune delle sue parole più profonde e significative per la nostra civiltà, in particolare per l’Europa che vale la pena riportare per intero: “quando la rivoluzione, in nome della potenza e della storia, si converte in meccanismo omicida e smisurato, diviene sacra una nuova rivolta, in nome della misura e della vita. Siamo a questo estremo. In fondo alle tenebre avvertiamo già l’inevitabile luce e non ci resta che lottare perché sia.

Al di là del nichilismo, noi, tutti, tra le rovine, prepariamo una rinascita. Ma pochi lo sanno. È già, in realtà, la rivolta – afferma Camus -. Senza pretendere di risolvere tutto, può almeno fronteggiare. Da quell’istante, il meriggio zampilla e scorre sul movimento stesso della storia. Intorno al braciere divorante, battaglie d’ombre s’agitano un attimo, poi scompaiono; e alcuni ciechi, toccandosi le palpebre, gridano che questa è la storia. Gli uomini d’Europa, abbandonati alle ombre, si sono distolti dal punto fisso e irraggiante”. Camus prosegue: “non credono più a ciò che è, al mondo e all’uomo vivo; l’Europa non ama più la vita, questo è il suo segreto.” Nella riflessione camusiana: “l’impazienza dei limiti, il rifiuto del loro duplice essere, la disperazione d’essere uomini li hanno gettati infine in una dismisura inumana. Negando la giusta grandezza della vita, hanno dovuto puntare tutto sulla propria eccellenza. In mancanza di meglio, hanno divinizzato sé stessi e la loro sciagura ha avuto inizio: questi dèi hanno gli occhi squarciati. Kaliayev, e i suoi fratelli del mondo intero, rifiutano invece la divinità poiché respingono il potere illimitato di dare la morte. Eleggono, e ci danno a esempio, la sola regola che sia oggi originale: imparare a vivere, a morire e, per essere uomo, rifiutare di essere dio. Al meriggio del pensiero, l’uomo in rivolta rifiuta così la divinità per condividere le lotte e la sorte comune”. L’unica ribellione possibile oggi per l’Übermensch occidentale ed europeo è la consapevolezza della libertà assoluta, che può essere raggiunta solo nei mondi delle idee. È la scelta di non essere dei, ma di essere uomini. L’unico cammino per la civiltà occidentale, in particolare per l’Europa, di fronte all’assurdità in cui viviamo oggi, è l’abdicazione in favore di un’umanità che ancora deve venire. Solo così le istituzioni, che sono proiezioni di noi stessi, potranno risplendere di una nuova luce attraverso una rivolta basata sull’amore.

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Professore universitario, romano, classe 1984. È laureato in Giurisprudenza ed è dottore di ricerca in filosofia del diritto, politica e morale. Ha lavorato per l’UE e per lo European Patent Office. Attualmente svolge attività di consulenza come Policy Officer per le policies europee. Appassionato di filosofia, cerca, nei suoi scritti, di ridare un respiro esistenziale alla quotidianità e alle sfide politiche