Gli Stati Miti d’Europa
Chi fa informazione è responsabile delle sue scelte
Disinformo dunque sono? Il digital service act e la consapevolezza per contrastare algoritmi, fake news ed economicismo
La rubrica “Gli Stati Miti d’Europa” di Valerio Pellegrini, ricercatore romano che svolge attività di consulenza come Policy Officer per le policies europee

Cosa è reale e cosa non lo è? L’informazione deve essere quanto più possibile attinente al reale? Come vengono scelte le informazioni? È necessario essere informati su qualunque cosa?
Queste sono alcune delle domande, relative al mondo dell’informazione, che mi inquietano da vario tempo. Per cercare di mettere ordine nelle mie idee credo sia necessario partire sempre dalle etimologie, le radici delle parole. La parola informare viene dall’analogo termine latino e significa proprio dar forma ed essere ad un qualcosa davanti agli occhi della mente. Chi lo fa sceglie e compie un atto creativo. Quindi implica una interpretazione dell’intermediario tra il “qualcosa” e coloro che ricevono la forma.
Diversa, ad esempio, è la parola istruire, dare una struttura, e diverso ancora è il significato di educare (da e-ducere) che si riferisce al trarre fuori (qualcosa che già c’è, l’essere). In tutte e tre i termini vi è sempre un lavoro di interpretazione e intermediazione. La responsabilità dunque risiede nell’intermediario. Questi può essere istruito e quindi avere una sua struttura attraverso la quale legge il reale; l’educato ha invece accesso all’essere attraverso cui vive il reale. Chi media, volente o nolente, ha una sua struttura, ma non è detto che abbia accesso all’essere.
L’informazione, il come viene rappresentato qualcosa agli occhi dell’altro, è sempre frutto della struttura interpretativa di chi la rappresenta e, a volte, anche della sua e-ducazione. L’informazione, dunque, non è mai totalmente uguale al reale, ma è interpolata. Nel suo sorgere sta già creando una nuova realtà. La purezza dell’informazione non esiste. Può esistere una informazione conforme a ciò che vorremmo vedere.
Chi fa informazione è responsabile delle sue scelte. Il problema sorge quando questa scelta è costretta da norme giuridiche, leggi economiche o culturali. Oggigiorno spesso si parla di pensiero unico, Marcuse, il filosofo tedesco, parlava di uomo a una dimensione, appiattito sull’orizzontalità e in particolare su quella dell’economicismo.
Finalmente capisco cosa mi inquieta delle domande di cui sopra. Non è solo la realtà o meno dell’informazione, ma il modo in cui questa è scelta e presentata. Non è tanto la differenza di vedute e strutture interpretative del reale che mi inquieta ma la sua reductio ad unum: l’economicismo.
È noto che sempre più i giornali on-line, ad esempio, sopravvivono grazie al clickbait attraverso il quale possono vendere spazi pubblicitari e che spesso la diffusione e l’organizzazione delle informazioni è affidata ad algoritmi. Mi domando se questo sia fare informazione o semplicemente disinformare, proprio perché non è garantita una pluralità di strutture.
Qualsiasi informazione, in tal modo, rischia di essere appiattita sull’unica struttura del profitto: più faccio rimanere i lettori su un titolo, una pagina, un articolo, più guadagno e più posso continuare a fare articoli per far restare i lettori incollati. Un circolo vizioso. Ciò che inquieta non è tanto il “qualcosa” che accade, ma il modo in cui viene presentato: per fare soldi. Vi è infatti un appiattimento della notizia affinché susciti scalpore, paura, affinché il lettore resti più tempo sulla pagina.
Il rischio, simile a quello di una dittatura, è di privare chi legge della percezione del senso della complessità della realtà, delle differenti vedute e strutture che possono interpretarla. Il problema non è l’economicismo, ma che questo possa diventare l’unica struttura informativa, coadiuvata da algoritmi progettati per massimizzare i profitti. Le dittature in fin dei conti riducono qualunque accadimento al pensiero unico da propagare. Il tema delle fake-news, in questo senso, è centrale in questa riflessione.
Vi è chi, non solo si abbandona all’economicismo, ma che scientemente diffonde, innesta, notizie false o fuorvianti per alterare la percezione del lettore (per false intendo mai accadute o facenti riferimento a fatti o cose inesistenti). Una cosa chiaramente è l’interpretazione del reale, altra è creare dal nulla un qualcosa che non è mai avvenuto o che non esiste. Mi domando dunque: che mezzi abbiamo adottato per far fronte a questa deriva sia economicista sia di possibili dittature che vogliano diffondere il loro pensiero unico e per arginare la diffusione di fake-news? Il tema è molto delicato poiché la costruzione giuridica, volendo tutelare il mondo dell’informazione, a sua volta potrebbe cadere in un pensiero unico. La risposta dell’UE sul tema è stata il Digital Service Act (DSA).
Il Digital Services Act (DSA) è una proposta di legge dell’Unione Europea (UE) approvata definitivamente in data 19 ottobre 2022 ed entrata in vigore il 16 novembre 2022 (la nuova normativa si applicherà a decorrere dal 17 febbraio 2024). Questo mira a regolamentare le piattaforme e i servizi online. Il DSA affronta la questione nell’ambito della più ampia categoria dei contenuti illegali.
Per disinformazione, nel DSA, si intende la diffusione di informazioni false o fuorvianti con l’intento di ingannare o manipolare il pubblico. Questa definizione servirà da base per le piattaforme digitali per applicare le misure di contrasto per favorire la trasparenza e garantire gli utenti sotto l’ottica della provenienza dei contenuti e delle fonti che li producono. Il fine dovrebbe essere quello di comprendere meglio come vengono selezionate e promosse determinate informazioni, riducendo il rischio che la disinformazione sia favorita dalle indicazioni delle piattaforme.
Il DSA prevede, inoltre, la cooperazione tra le piattaforme digitali, esperti indipendenti e organizzazioni di fact-checking per verificarle e contrastare la diffusione di fake news. La collaborazione con esperti consentirà di garantire l’attendibilità e l’accuratezza di quanto viene fatto circolare online. Vengono inoltre stabilite procedure per la rapida rimozione di contenuti dannosi e fake news qualora vengano segnalati dagli utenti o verificati dagli esperti.
Infine, sono previste misure di sensibilizzazione ed educazione degli utenti riguardo alla disinformazione e alle sue conseguenze. Esse mirano a creare un ambiente digitale più affidabile e sicuro. Tuttavia, la sfida rimane complessa. Solo un approccio integrale e collaborativo permetterà di costruire un ecosistema digitale vivo e consapevole rispetto dalla diffusione di notizie manipolate e false. Chiaramente il Digital Service Act pone questioni etiche importanti come ad esempio: chi controlla i controllori?
Qui forse sorge l’ultima domanda che mi sono posto all’inizio: è necessario essere informati su qualunque cosa? No. Basti pensare che la conoscenza massima di un uomo del medioevo era pari a quella di un quotidiano. Non è un caso, inoltre, che si stiano diffondendo patologie quali la sindrome da affaticamento informativo e l’ansia da informazione. Quel che è necessario è sviluppare consapevolezza a partire dall’essere, in fin dei conti, educare, tirare fuori la bellezza. La legge è una rete di salvezza, la consapevolezza crea invece armonia. Forse così finalmente riusciremo ad ascoltare anche le tante belle notizie in un mondo, che per vendere, troppo spesso vuole ascoltare solo la paura.
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