Come ogni fenomeno e ogni rappresentazione umana anche il progetto europeo è pieno di luci ed ombre. Già ho affrontato il tema del non indorare la pillola, e già ho parlato della percezione dell’Europa come matrigna, di un’Europa rappresentata, a volte a ragione, come fredda e lontana dai cittadini, piena di burocrati senza cuore che pensano solo a far rispettare i conti, l’Europa del ce lo chiede l’Europa.

Ho parlato anche di come i populismi hanno contribuito a creare questa narrazione e a sfruttarla in casa propria per crearsi un consenso, complice una non impeccabile capacità comunicativa di Bruxelles. Ho sottolineato la necessità della mitezza (che dà il nome a questa rubrica) senza la quale non si riusciranno mai a vincere gli egoismi nazionali.

Oggi, però, vorrei parlare di un aspetto indiscutibilmente positivo dell’Unione Europea, una storia di tenacia, di rabbia creativa, generativa e di un Europa fatta di cittadini: mamma e papà Erasmus. Ebbene sì, il progetto Erasmus+ che tutti conosciamo ha una mamma, e a dir la verità anche un papà, rispettivamente Sofia Corradi e Domenico Lenarduzzi. L’Erasmus nasce da una storia tutta italiana e forse proprio dalle contraddizioni del nostro paese.

La genialità spesso nasce da dei problemi concreti, in Italia infatti siamo pieni di geni (anche se si nascondono bene)! Sofia era una giovane studentessa di Giurisprudenza a Roma. Vinse la prestigiosa borsa Fulbright e partì per New York per frequentare un master in diritto comparato alla Columbia University. Al suo ritorno, tuttavia, l’Università italiana non le riconobbe gli esami sostenuti nel master svolto all’estero liquidandola con la domanda: Columbia University? Cos’è? Dovette quindi completare il regolare corso di studi. Da questa rabbia nasce la sua volontà di lavorare all’equiparazione dei titoli universitari europei.

La burocrazia universitaria e l’esperienza vissuta sulla propria pelle la spinsero a battersi con tenacia affinché gli scambi di studio tra università fossero facilitati. Negli anni della sua collaborazione con Conferenza dei Rettori entrò in contatto con i vertici delle università europee. Nel 1969 redasse un primo promemoria che sarebbe poi sfociato nei Joint Study Programmes che poi sarebbero diventati nel 1987 l’EuRopean community Action Scheme for the Mobility of University Students anche conosciuto come Programma Erasmus.

La storia di Domenico invece parte da una richiesta rivolta da Mitterand alla Commissione europea durante il semestre francese di presidenza europea. Il Presidente francese nel constatare il successo dell’Europa economica rilevava la necessità di un maggiore coinvolgimento dei cittadini, richiese dunque alla Commissione europea di redigere un documento con delle proposte per creare un Europa dei cittadini. Il rapporto L’Europa dei Cittadini, poi ricordato come Rapporto Adonnino, dal nome del Presidente del comitato che lo produsse, fu approvato nel giugno 1985. In esso si proponevano misure e azioni per meglio coinvolgere nella costruzione dell’Europa i singoli cittadini e l’Italia contribuì fortemente al suo successo.

Nel Rapporto si prevede di adottare un insieme di simboli, come la bandiera, l’inno, la patente e molti altri destinati a sviluppare il senso di appartenenza dei cittadini all’Unione. Qui entra in gioco Domenico, al tempo Direttore presso la Direzione Generale “Cultura e Istruzione” della Commissione europea a Bruxelles. Fu lui che dal lato più istituzionale permise, attraverso il suo lavoro nella Commissione, l’adozione e il finanziamento del programma Erasmus.

Dall’intreccio di queste storie di normali cittadini europei, storie di passione civica, tenacia e anche di amore (Sofia confesserà che a spingerla a partire per gli Stati Uniti fu il suo ragazzo statunitense Bill), nacque un progetto visionario che, a partire dal 1987, ha cambiato la vita di tanti studenti. Dalle storie di Sofia e di Domenico ci viene trasmesso anche un testimone che ci ricorda che la politica, e, in senso più ampio, l’Europa, siamo noi. Ad oggi sono più di 13 milioni coloro che hanno partecipato all’Erasmus e più di un milione di famiglie sono nate a seguito del programma. Nei racconti dei protagonisti si accende sempre una luce nel ricordare l’esperienza vissuta.

Un momento sicuramente di divertimento, di nascita di nuovi amori, ma anche e soprattutto di scoperta di nuove culture, di studio e di maturazione. Non periodo di fuga, ma, piuttosto, di crescita, di sperimentazione della libertà e di acquisizione di una maggiore consapevolezza e indipendenza. Mollare tutto per andare a vivere un paese ed un sistema universitario straniero richiede coraggio e audacia; anche il solo trovarsi a 20 anni a confrontarsi in casa con coinquilini di paesi stranieri e dunque usanze diverse richiede un continuo mettersi in gioco e lo sviluppo di una capacità di dialogo.

La frase che spesso dice chi vi ha partecipato è: “una volta Erasmus, per sempre Erasmus”. Come se si fosse entrati a far parte di una comunità diversa, non più solo nazionale ma internazionale, europea. La comunità e il supporto reciproco sono altri elementi che spesso emergono dai racconti degli studenti che lo hanno sperimentato. Da queste sfide, amori, studio, e divertimento negli anni più spensierati, e forse proprio dal condividere la vita quotidiana di tanti giovani europei può nascere davvero quel senso di comunità e cittadinanza che oggi manca sia a livello nazionale sia a livello europeo. Una “Europa dei cittadini” come già il rapporto Adonnino prefigurava e non solo della burocrazia. Un luogo dove sentirsi parte di un progetto più grande.

I viaggi di studio degli universitari erano la norma in Europa già in età romana e nel Medioevo. Giulio Cesare, ad esempio, fu mandato a fare un “Erasmus” a Rodi per migliorare la sua conoscenza della lingua e cultura greca. Poi ci fu il Grand Tour. Oggi finalmente vi è una possibilità aperta a tutti (perché finanziata dall’UE), e non solo ai “nobili” di oggi, per poter fare una esperienza che cambia la vita e forse cambia anche l’Europa. Chissà forse è stato chiamato Erasmus, proprio perché è un progetto folle e folle è chi vi partecipa. Proprio nella sua opera l’Elogio della follia, il filosofo olandese diceva: “la pazzia costruisce città, imperi, istituzioni ecclesiastiche, religioni, assemblee consultive e legislative: l’intera vita umana è solo un gioco, il semplice gioco della Follia.” Forse in un momento in cui le grandi narrazioni sono cadute, i valori civici sono dei grandi sconosciuti, sperimentiamo un senso di solitudine dovuto alla mancanza di comunità e viviamo una guerra proprio nel cuore dell’Europa è tempo di riaprirsi a una sana follia per credere in un’Europa diversa e un mondo diverso, non solo mitezza ma follia di scommettere con passione su un futuro condiviso per costruire un nuovo senso di comunità e quindi di cittadinanza.

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Professore universitario, romano, classe 1984. È laureato in Giurisprudenza ed è dottore di ricerca in filosofia del diritto, politica e morale. Ha lavorato per l’UE e per lo European Patent Office. Attualmente svolge attività di consulenza come Policy Officer per le policies europee. Appassionato di filosofia, cerca, nei suoi scritti, di ridare un respiro esistenziale alla quotidianità e alle sfide politiche