Dire, non l’ha detto. Troppo presto per darlo in pasto ai giornalisti nel corso della direzione. Casomai a gennaio, quando e se finalmente avrà deciso. L’impegno formale è quello, “aspettiamo la fine dell’anno, poi vi farò sapere”, ha assicurato ai suoi. È il pensiero stupendo di Elly, che come da prassi, nasce un poco strisciando. I riscontri che la segretaria del Pd aspetta sono quelli della piazza, la manifestazione della Cgil, il firma day sul salario minimo tra due giorni, la mobilitazione sulla sanità convocata l’11 novembre, la conferenza sulle Europee a dicembre. Poi c’è il sismografo sulla minoranza, la Campania di Vincenzo De Luca, il governatore che si è messo in testa di detronizzarla. Così Elly attenderebbe il 2024 per candidarsi capolista in tutte e 5 le circoscrizioni, come nessuno mai, almeno in quella gabbia di ‘matti’ del Pd. Una donna sola al comando, che splendida beffa per un partito che aveva intravisto uomini non accompagnati ovunque.

Al Nazareno vorrebbero chiudere i giochi, l’eterno cicaleccio, le cattiverie, ‘che cosa ha detto?’, ‘non capisco quando parla’, e imporre finalmente la leadership di Elly a muso duro, così è, se non vi va bene uscite. Una risposta anche all’eterno Franceschini, che vuole imprigionare la segretaria con una camicia di forza, frenare il cambiamento, circondarla di primi della classe saputelli come il sindaco di Firenze Dario Nardella. I suoi la incitano, ‘Elly devi farlo’, ‘Elly così li metti a tacere tutti’, sussurrano Sandro Ruotolo, e Flavio Alivernini, uno che prima di fare il portavoce della segretaria, lo ha fatto di Laura Boldrini, per dire che è abituato a caratteri complessi.

Ieri in direzione l’ex vicepresidente dell’Emilia Romagna ha parlato di altro, una cosa che le riesce benissimo. Così ha colorato di rosso il Green deal, “per accompagnare i lavoratori nella transizione ecologica”, ha rivendicato l’enciclica Laudate deum, chiamato alla difesa del modello democratico dallo strappo tentato dai reazionari, certificato che il Pd si sia rimesso in moto, tappato occhi e orecchie per predicare l’unità del campo largo, in vista delle amministrative. Un bel coraggio, in effetti. Dopo più di sette mesi di sfiancante corteggiamento a Giuseppe Conte, Elly Schlein da qualche giorno si sveglia con gli occhiali, e con le sembianze di un Enrico Letta qualsiasi. A mani vuote. Con il corteggiato che ora rinserra le fila dei denigratori. Un incubo, il campo largo che torna ad essere un retrobottega.

Meglio allora, fare finta di non capire, e continuare a chiedere armonia tra le opposizioni, circondata dallo sbigottimento dei componenti della direzione. “Non indugiare sui distinguo? Ha veramente usato questi termini?”, si passavano di gomito nella sala Sassoli dove era in corso la direzione. Stringato il commento di Lorenzo Guerini, “bene la segretaria soprattutto su Ue e Ucraina”, dove la parola chiave è quel ‘soprattutto’. Di Franceschini si è detto, altro che aiuto, il ferrarese ha iniziato ad intonare il de profundis. E ci si è messo pure Francesco Boccia, il presidente dei senatori che nelle ore scorse si è precipitato a spiegare, “guarda che ci sono entrato solo per controllare”. Il principale problema di Elly è che anche la minoranza ha un suo pensiero stupendo, diametralmente opposto a quello della segretaria. Ovvero aspettare il flop del partito alle prossime elezioni europee. Magari sotto il 20%, per fare compagnia a Letta. E dare inizio al piano di emergenza disegnato da Dario Franceschini.

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Vive a Roma ma è cresciuto a Firenze, è un antico frequentatore di corridoi, ha la passione per Philip Roth e per le melanzane alla parmigiana, predilige il paesaggio della Versilia