Graziano Grazzini era una brava persona. Era un politico e spesso essere una brava persona ed occuparsi della cosa pubblica per tanti sembra un ossimoro. Graziano Grazzini era un politico che credeva nel valore della politica e che non si è mai approfittato del proprio ruolo. Come la stragrande maggioranza degli altri politici che abbiamo conosciuto, dei dipendenti comunali, degli idraulici per esempio, come sono sicuro della stragrande maggioranza dei parrucchieri, per dire.

Perché credetemi la società civile non è che sia migliore della classe politica, anzi – di solito – ne è lo specchio, e le semplificazioni sono sempre la strada più immediata. Come tifare Juventus che era l’unico difetto che ancora gli riconosco. Per ridere perché ognuno sceglie i colori che preferisce. Però insomma, a Firenze un po’ stonava e comunque per lui era un altro modo per essere contro. Anche ieri ci siamo ritrovati a Settignano davanti a quella tomba. Piena di fiori come le tombe di chi è amato non soltanto dalla propria famiglia, perché chi passa da quel cimitero un po’ in collina prega, mette un fiore e si ricorda. Di un politico che stava dall’altra parte in una Firenze da sempre conformista. Fascistissima un tempo, poi dal 25 aprile tutti comunisti ma sempre contro.

Perché Firenze non si conforma al potere fuori dalle proprie mura, ma dentro le mura si conforma e come. E conveniva stare a sinistra perché si diventava assessori, presidente di partecipata; si diventava qualcosa e si arrivava meglio a fine mese. Graziano no. Non ha mai barattato una fede, un’idea in cambio di una strada più semplice. Perché la fede era salda e le idee ancora di più e non si scende a patti con il trascendente. Nemmeno con il politico di turno che ti promette un posto perché il tuo posto era lì, a servizio degli uomini e non avresti voluto occuparne altri.

Eravamo sempre uno da una parte dell’aula consiliare e uno dall’altro ma forse non ce ne siamo mai accorti. Lui senza il sacro furore che accompagnava i primi anni del berlusconismo, io – me lo riconosco – senza il giacobinismo di tanta sinistra soprattutto in quegli anni. Lui cambiato dall’incontro con il cristianesimo e con l’esperienza di fede fatta nascere da Don Giussani, io che non l’avevo mai cercata sul serio e che mi fermavo lì, sulla soglia di una fede tiepida che non dà risposte.
Morì lavorando in politica nel palazzo della Provincia. La telefonata della sua amata Giovanna la sera che mi chiedeva dove potesse essere, di Gabriele la mattina che fermò ogni speranza. E quel funerale di popolo nella sua chiesa. Di popolo sì, perché c’era tutta Firenze che storicamente non riconosce valore, credendosi lei il valore assoluto. Ma a lui sì. A Graziano Grazzini capogruppo di Forza Italia così lontano da tanti di noi ma così vicino alla gente. Anche alla nostra. Quella gente che ancora non l’ha dimenticato, non tristi per la mancanza ma grati per averlo avuto vicino.