I funerali del musicista, chiesa e piazza gremite: "E' un martire, la città ora cambierà"
La madre di Giogiò Cutolo: “Ha ucciso mio figlio ed è andato a giocare a carte, pensava fosse una serie” | Don Battaglia bacchetta lo Stato: “Scusaci per le promesse non mantenute”
“Ha ucciso mio figlio e poi è andato a giocare a carte, manco si pensava che era una puntata e dopo continuava”. Sono le parole di Daniela Di Maggio, la madre di Giovanbattista Cutolo, ucciso il 31 agosto scorso da un 16enne senza motivo, mentre interveniva per difendere un amico in seguito all’aggressione subita dall’ennesima paranzella di turno. Nel giorno dei funerali di Giogiò sono circa 10mila le persone che hanno riempito piazza del Gesù e la chiesa del Gesù Nuovo per l’ultimo saluto al musicista 24enne, rispondendo nel migliore dei modi all’appello lanciato nei giorni scorsi proprio dalla madre (che domani sarà a Roma dalla premier Giorgia Meloni).
All’uscita della bara bianca, accolta da un lungo applauso e omaggiata con l’Inno alla gioia di Beethoven, interpretato dalla sua orchestra, la Scarlatti Young, la madre visibilmente sconvolta, ha urlato “ergastolo, ergastolo” tra gli applausi della folla. Poi in una breve ma intensa intervista rilasciata ai cronisti presenti ha aggiunto: “E’ stato ucciso un ragazzo che aiutava la comunità, avete visto che ha creato mio figlio? Ci vogliono delle pene giuste per dei ragazzi che non possono essere più chiamati ragazzi. E’ andato a giocare a carte dopo che ha ucciso, manco si pensava che era una puntata e dopo continuava la puntata. Ha sparato e poi avrà detto ‘vediamo dopo che succede‘”. Basta con questi crimini efferati, si perdono anime stupende e non è possibile”. Chiede scusa perché, comprensibilmente, “agitata e nervosa”. Sull’appello del vescovo Battaglia aggiunge: “Napoli certo che cambierà altrimenti la morte di Gigiò a cosa è servita? Questo ragazzo è un martire, si è immolato per un cambiamento, i napoletani devono risvegliare le coscienze e dobbiamo combattere, combattere. La Napoli bene oggi è tutta qui ad omaggiare mio figlio perché esiste una Napoli che deve vincere su questa Napoli bastarda e schifosa che non ci appartiene”.
Proprio l’omelia dell’arcivescovo di Napoli Domenico Battaglia, per tutti don Mimmo, e la lettera letta dalla sorella di Domenico, Ludovica Cutolo, sono stati i momenti più toccanti di una liturgia che ha visto partecipare migliaia di persone tra musicisti (ognuno in chiesta con il proprio strumento musicale), cittadini e, immancabili, esponenti del governo e delle istituzioni locali. Dai ministri Sangiuliano e Piantedosi, al governatore De Luca, al sindaco Manfredi e agli ex ministri Sergio Costa e Roberto Speranza.
Uno schiaffo a tutti, politici in primis, le parole di don Mimmo che ha invitato i giovani a restare a Napoli per cambiare la città. “Se qualcuno un tempo ha detto ‘fuggite’, e qualcun altro oggi dice ‘scappate’, io vi dico: restate, restate, affinché le pistole si trasformino in posti di lavoro, i coltelli in luoghi educativi, i pugni in mani tese, gli insulti in melodie, concerti, arte. Restate e operate una rivoluzione di giustizia e di onestà. Restate e seminate tra le pietre aride dell’egoismo e della malavita il seme della solidarietà, il fiore della fraternità, la quercia della giustizia”.
Parole accolte da un lungo applauso con mamma Rossella che, alla fine dell’omelia, ha a lungo abbracciato la bara bianca dove, oltre a fiori e magliette con la foto di Giogiò, c’era anche il corno, lo strumento che suonava.
La predica a politici e istituzioni: “Scusami per le promesse non mantenute, quella mano armata anche da noi”
Netta la predica alla politica e alle istituzioni in generale: “Perdonaci tutti Giogiò, perché quella mano l’abbiamo armata anche noi, con i nostri ritardi, con le promesse non mantenute, con i proclami, i post, i comunicati a cui non sono seguiti azioni, con la nostra incapacità di comprendere i problemi endemici di questa città abitata anche da adolescenti – poco più che bambini – che camminano armati, come in una città in guerra”.
Poi ancora: “Giovanbattista, figlio e fratello mio, accetta la mia richiesta di perdono! Perché sono colpevole anche io! Fin dal primo giorno dell’arrivo in questa città mi sono reso conto dell’emergenza educativa e sociale che la abitava e ho cercato di adoperarmi con tutto me stesso, di appellarmi alle istituzioni locali e nazionali, alla buona volontà di tutti ma evidentemente non è bastato, forse- aggiunge – avrei dovuto non solo appellarmi ma gridare fino a quando le promesse non si fossero trasformate in progetti e le parole e i proclami in azioni concrete! Perdonami se non ho gridato abbastanza, perdona me e la mia Chiesa se quello che facciamo, pur essendo tanto, è ancora poco, troppo poco”.
“Fratello e figlio mio – prosegue ancora don Battaglia – prega per questa tua città ferita, per questa nostra amata Napoli, che come una madre negligente non ha saputo custodirti e difenderti. Prega per lei e rendi inquiete le notti di chi, anche come me, in vari ambiti, livelli e ruoli, occupa posti di responsabilità. Che la tua dolce musica divenga per tutti noi uno squillo potente capace di destare i nostri cuori assopiti e di restituirci al nostro compito più urgente: disarmare Napoli, educare Napoli, amare Napoli”.
La lettera della sorella: “Napoli sei tu, non Gomorra e Mare Fuori”
“Napoli sei tu, non è Gomorra, non è Mare fuori o il Boss delle cerimonie“. Lo ha detto Ludovica Cutolo, parlando con un microfono dall’altare della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli, dove sono andato in scena i funerali del fratello, Giovanbattista, musicista ucciso a 24 anni nei pressi di piazza Municipio da un 16enne.
“Uso il presente perché è l’unico tempo che conosci” dice Ludovica leggendo la lettera scritta per Giovanbattista. “Uso il presente perché è l’unico tempo che conosco anche io con te” ribadisce prima di concludere: “Mamma sta lottando per te, con la forza di cento uomini perché non puoi essere definito da quello che ti è successo. Io non sono figlia unica. Siamo sempre Giogió e Lulù“.
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