Si è rivelata un buco nell’acqua l’inchiesta che vedeva indagato il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana con l’accusa di autoriciclaggio e falso nella voluntary disclosure sui 5,3 milioni di euro depositati su un conto corrente in Svizzera e “scudati” nel 2015. Da quel conto Fontana aveva tentato di prelevare 250mila euro che avevano fatto scattare un alert degli organi antiriciclaggio della Banca d’Italia.

Il gip di Milano Natalia Imarisio ha archiviato l’inchiesta a carico del governatore lombardo, come chiesto d’altra parte dalla stessa Procura, col fascicolo in mano ai pm Paolo Filippini e Carlo Scalas e al procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. Fontana da parte sua aveva sempre ribadito che quel denaro fossero soldi ereditatati dalla madre e depositati sul conto elvetico.  Gli inquirenti ritenevano che parte del denaro, pari al valore di 2,5 milioni, fosse frutto di presunta evasione fiscale.

Fin dall’inizio abbiamo sostenuto che non ci fosse alcuna irregolarità e che non si potesse contestare alcun reato“, spiega a LaPresse l’avvocato Jacopo Pensa, che assieme al collega Federico Papa ha difeso il presidente lombardo. “Anche la mancata risposta alla rogatoria da parte della Svizzera ce lo aspettavamo visto che avevamo già prodotto tutti i documenti“, precisa ancora il legale.

Nel decreto con cui ha archiviato l’inchiesta, il gip Imarisio ha scritto che “i concreti esiti investigativi” con gli apporti della difesa “risultano maggiormente concludenti” ai fini dell’esclusione della “riconducibilità delle violazioni” ad Attilio Fontana.

Il giudice per le indagini preliminari in particolare ha concordato “con l’ufficio del Pubblico ministero” ossia la mancata risposta alla rogatoria dei pm che era stata inoltrata in Svizzera, “risultanze sufficienti ad ipotizzare con ragionevole prognosi di condanna la riconducibilità delle violazioni in esame (anche solo in parte) ad Attilio Fontana“.

Il prossimo 18 marzo è invece fissata fissata l’udienza preliminare a carico dello stesso Fontana e altre quattro persone, imputate di frode in pubbliche forniture per la vicenda dell’affidamento da parte della centrale acquisti della Regione (Aria spa) di una fornitura da mezzo milione di euro, poi trasformata in donazione, di 75mila camici e altri dispositivi di protezione a Dama, società del cognato del presidente lombardo, Andrea Dini. Stando all’accusa il presidente della Lombardia avrebbe tentato di risarcire per il mancato introito il cognato con un bonifico di 250mila euro prelevati dal conto in Svizzera, operazione bloccata perché segnalato dalla Banca d’Italia come operazione sospetta: da lì l’apertura dell’inchiesta per autoriciclaggio e falso in voluntary disclosure archiviata oggi.

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Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.