“Sono convinto che giorno dopo giorno la verità verrà a galla”. E’ quanto dichiara il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, intervenendo in Consiglio regionale, dopo l’inchiesta della procura di Milano sulla fornitura di camici alla Regione da parte di Dama Spa in cui è indagato per frode in pubbliche forniture.

“Ho riflettuto molto sull’opportunità di intervenire oggi soprattutto per la preoccupazione di dare un’ulteriore cassa di risonanza per polemiche che ritengo sterili e strumentali. Ho deciso di venire qui per voltare pagina e con la volontà di andare oltre per affrontare le sfide e opportunità che ci aspettano” ha aggiunto Fontana che precisa: “Le critiche alle mie azioni di governo sono legittime, anzi doverose purché tengano conto della realtà. Non posso tollerare che si dubiti della mia integrità e di quella dei miei familiari”.

“Il mio coinvolgimento, se di coinvolgimento si può parlare, non è nulla di più, nulla di meno se non che Regione Lombardia non ha speso un euro per i 50mila camici” dichiara prima di precisare che “dei rapporti negoziali a titolo oneroso tra Dama e Aria non ho saputo fino al 12 maggio scorso”.

Poi l’attacco alla trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci: “L’inchiesta di Report è stata annunciata con toni scandalistici. La vicenda è stata divulgata dalla più diffusa disinformazione. Ora se ne sta interessando la magistratura, che mi attribuisce un ruolo sulla fornitura” di camici “da onerosa a gratuita. Sapevo che Dama si era dichiarata disponibile a rendersi utile per fornire un contributo. Anche la fornitura di camici rientrava in questa disponibilità. Sono tuttora convinto che si sia trattato di un negozio corretto. Ma poiché il male è negli occhi di chi guarda, ho chiesto a mio cognato di rinunciare” al pagamento. “Su questo aspetto sono stato facile profeta. La magistratura sta lavorando su questo punto ipotizzando una diversa ricostruzione dei fatti, ha aggiunto.

“Quando sono andato in video con la mascherina – spiega il governatore della Lombardia – gli inquisitori che allora criticavano come eccessive queste prese di posizione sono stati feroci critici per denunciare lentezze con l’aggravarsi della situazione. Quello che è successo nei giorni successivi rimarrà scolpito nella memoria”.

L’indagine riguarda in primis il cognato di Fontana, Andrea Dini, titolare della società Dama (il 10% è in possesso della moglie di Fontana, Roberta Dini), che firmò con la Regione un contratto per la fornitura di camici pari a 513mila euro. Un appalto svincolato dalle normali procedure di gara proprio a causa dell’emergenza Covid. L’appalto viene scoperto da Report e Fontana, secondo l’accusa, avrebbe indotto il cognato a trasformarlo in donazione alla Regione.

I magistrati milanesi scoprono quindi il tentato bonifico (bloccato, ndr) di 250mila euro da un conto scudato all’estero, in Svizzera, da parte di Fontana all’Iban del cognato, a sua insaputa. Denaro proveniente da due trust aperti dieci anni prima alle Bahamas dalla madre di Fontana ed ereditati alla sua morte. Le autorità dell’antiriciclaggio giudicano sospetta la cifra e segnalano il caso alla Banca d’Italia, che gira il tutto alla Procura.

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