Per il pubblico ministero Alberto Nobili, che lo ha interrogato venerdi scorso, è persona offesa. Per il Fatto quotidiano e la trasmissione Report è una sorta di faccendiere in perenne conflitto d’interessi. Per Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, non c’è pace, da quando è scoppiata la pandemia da Covid-19. Marco Travaglio lo ha messo nel mirino e ogni giorno ne chiede le dimissioni, se non è proprio possibile l’arresto. E due giorni fa si è fatto dare in prestito dai suoi amici della trasmissione scandalistica Report una finta notizia su un conflitto di interessi nella speranza che qualche procuratore voglia aprire un fascicolo e indagare Attilio Fontana. Speranza presto esaudita visto che secondo indiscrezioni la Procura di Milano ha aperto un’indagine conoscitiva, senza ipotesi di reato né indagati.

Contemporaneamente sono apparse sui muri di Milano scritte del tipo “Fontana assassino” (rivendicata dai Carc, comitati di appoggio alla resistenza comunista), oppure “Fontana assassino, Sala zerbino”, che viene attribuita a un centro sociale di nome Zam. E il legale della Regione Jacopo Pensa ha anche consegnato al pm Nobili un dossier di trenta pagine intitolato «Clima d’odio», tanto per chiarire di che cosa si tratti. Non proprio una situazione rilassante per uno che da tre mesi sta affrontando la tragedia di malati e morti come mai si era visto, e la marea montante di revanscismo che sale da Scidda e Cariddi verso la Regione più popolosa, più progredita e più colpita d’Italia. Lo scoop di Report è – si può dirlo? – una vera stupidaggine. E l’uso che ne viene dato dal Fatto, cui è stata concessa in esclusiva graziosamente l’anticipazione, anche per aumentare l’ascolto alla trasmissione di ieri sera, una vera porcata.

Soprattutto nei confronti di una persona unanimemente (anche dagli stessi cronisti di Report, ci pare) ritenuta per bene. Lo “scandalo” si snoda tra il 16 aprile e il 20 maggio. Nei giorni in cui erano introvabili i presidi sanitari e il governo aveva già fatto pasticci con le mascherine, l’Aria, la centrale acquisti della Regione Lombardia, lancia un invito per la fornitura di camici idrorepellenti e altri indumenti di presidio sanitario. E contemporaneamente molte aziende lombarde iniziano a riconvertire le proprie attività per dare una mano, per solidarietà. Chi si mette a cucire mascherine, chi produce camici e cappellini. All’invito di Aria rispondono tre aziende, una delle quali amministrata dal cognato di Fontana, Andrea Dini. La Centrale acquisti della Regione emette fatture che nel giro di un mese vengono però stornate, perché la società Dama Spa aveva chiarito dal primo momento di aver avuto intenzione, come già altri come Giorgio Armani, di fare una donazione dei camici. Del resto la stessa società Dama non era nuova a questo tipo di gesti, visto che aveva già versato 60.000 euro al Fondo per le emergenze della Regione e aveva fatto diverse donazioni agli ospedali della provincia di Varese. In ogni caso non un euro dei cittadini è entrato nelle sua casse, anzi ne sono usciti parecchi.

Ma che cosa stuzzica la fantasia sospettosa di Travaglio? Il fatto che Fontana non ne sapesse niente, prima di tutto (ah, ma allora è come Scajola!) e il lasso di tempo trascorso tra l’invito di Aria e lo storno della fattura. La spiegazione è stata data ed è molto banale, l’assenza del Ceo in quei giorni dall’azienda. In ogni caso l’inchiesta di Report è stata avviata “dopo”, quindi quale è il problema? È sempre il solito: manette manette! Un po’ di scandalismo. Un bel soffiare su quel fuoco pericoloso che si sta sviluppando, tanto da far preoccupare lo stesso Presidente Mattarella, soprattutto nelle regioni del sud, nei confronti dei cittadini lombardi, tanto da far chiedere l’istituzione di una sorta di apartheid della regione più produttiva d’Italia, considerata anche la più contagiosa. Lo si è visto fin dall’articolo di Gad Lerner (che giustamente si è poi guadagnato un passaggio al Fatto quotidiano) su Repubblica del 4 aprile in cui accusava la Regione Lombardia di aver compiuto una strage al Pio Albergo Trivulzio. Si è poi scoperto che le inchieste sulle Rsa sono 40 in tutta Italia e che i dati dei contagi e delle morti nelle case di riposo degli altri Paesi europei erano ben più elevati di quelli lombardi. Poi c’è stata la vicenda del reparto terapia intensiva alla Fiera di Milano costruito con fondi privati in quindici giorni nel momento dell’emergenza più tragica, irriso da Travaglio perché, per fortuna, la situazione è poi migliorata e non c’è stato bisogno di riempirlo.

Poi la campagna per la mancata istituzione della zona rossa nel bergamasco, quasi come se spettasse alle Regioni istituire posti di blocco con carabinieri e polizia. Per fortuna è stata la stessa pm di Bergamo a mettere i puntini sulle “i” dicendo che era compito del governo quella decisione che purtroppo non fu presa. Ma, considerazioni politiche a parte ed errori fatti un po’ da tutti di fronte a qualcosa di inedito e tragico come una gravissima pandemia, il problema è che l’opera di sputtanamento in questo Paese sembra non finire mai. Anche senza le intercettazioni, anche senza il trojan, resta il fatto che nella sub-cultura grillino-travagliesca il sospetto continua a essere l’anticamera della verità, un innocente è solo un colpevole che l’ha fatta franca, un indagato è peggio di un condannato e un presidente di Regione “non poteva non sapere”. Oggi tocca a Fontana. Ma domani? Ma quando arrivano i famosi più puri che epurano i puri?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.