Uno schiaffo al giustizialismo
Inchiesta Milano, il paradosso delle reazioni: sinistra forcaiola e governo garantista. Meloni e Crosetto: “No a dimissioni per avviso garanzia”
L’inchiesta che ha portato alla richiesta di arresto dell’assessore alla Rigenerazione urbana Tancredi (che avrebbe fatto sapere di essere disponibile a dimettersi) e all’iscrizione nel registro degli indagati dello stesso sindaco Beppe Sala, fa sbandare Milano e manda in fibrillazione la politica. Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 Stelle gridano subito alle dimissioni, parlando di un progetto fallito, recitando il loro ruolo fisiologico di opposizione disposta a mandare in frantumi l’avversario, senza chiedersi se e come potranno mai essere rimessi insieme i pezzi della città.
Il silenzio del PD
Dall’altra parte il Partito democratico parla per ultimo, e questo silenzio iniziale dice molto dell’imbarazzo nel principale partito di maggioranza. Quando finalmente Alessandro Capelli, segretario del Pd Milano metropolitano, rompe gli indugi, lo fa rovesciando la polemica: “Continuiamo a sostenere il lavoro che il sindaco Sala e tutta l’Amministrazione dovranno fare nei prossimi due anni. Conosciamo bene le differenze tra i governi del centrosinistra e delle destre ed è bene non dimenticarlo mai”. E contrattacca: “Leggiamo in questi giorni di lezioni da una destra che negli anni ha abbandonato e colpito Milano”. Ma è proprio da sinistra che arrivano critiche più aspre. Tommaso Gorini, capogruppo dei Verdi in Consiglio comunale, non fa sconti: “Sin dall’inizio, abbiamo contestato anche l’introduzione della norma cosiddetta ‘Salva Milano’, ritenendola uno sbaglio, per ragioni sia di merito che di opportunità”. E va oltre, chiedendo di “sospendere l’iter di approvazione di alcuni progetti strategici, a partire dalla vendita dello stadio di San Siro”. Un fuoco amico che brucia quasi più delle critiche dell’opposizione. Anche perché è dal centrodestra che arriva una lezione di garantismo.
Il garantismo della destra
A partire dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: “Non sono mai stata convinta che un avviso di garanzia porti l’automatismo delle dimissioni. Non cambio posizione in base al colore politico degli indagati”. Guido Crosetto, ministro della Difesa, è durissimo: “La magistratura non deve e non può sostituirsi al corpo elettorale. A Milano una parte della magistratura inquirente ha anche deciso di sostituirsi al legislatore”. Alessandro Sorte, coordinatore regionale di Forza Italia, pur dipingendo “una città in stallo, senza slancio, amministrata da una Giunta in confusione”, rivendica con orgoglio: “Non siamo quelli delle piazze con monetine o cappi in mano. Forza Italia è e sarà sempre una forza garantista. Non chiederemo mai dimissioni basandoci solo su un avviso di garanzia”. Una stilettata ai forcaioli di ogni colore. Sulla stessa linea Mariastella Gelmini, senatrice di Noi Moderati: “Non ci sogniamo di chiedere le dimissioni di nessuno per le richieste di una procura o per un avviso di garanzia”. Dal centro riformista arrivano le analisi più lucide nella maggioranza. Giulia Pastorella di Azione centra il punto: “Il modello Milano in questi anni ha fatto quello che altre città non sono state in grado di fare: attirare capitali stranieri e avviare un processo di rigenerazione urbana senza precedenti”. Ma non nasconde le ombre: “Gli squilibri che ha generato hanno finito per rendere Milano sempre meno accessibile alle fasce più fragili della popolazione”.
Il futuro di Milano
I numeri li ricorda Gianmaria Radice di Italia Viva, e fanno impressione: “Si sta discutendo del futuro della città che da sola è il 15% del PIL del Paese, che rappresenta il 46% del mercato immobiliare italiano, della città più attrattiva economicamente in Europa”. Fermare Milano significa fermare l’Italia. Fuori dai palazzi delle istituzioni cittadine fa sentire la sua voce anche il neonato Partito Liberaldemocratico. Elena Buratti aggiunge una nota critica ma costruttiva: “L’inchiesta tocca scelte politiche ed amministrative – come l’accelerazione degli iter urbanistici – che, anche quando legittime, meritano un dibattito pubblico trasparente”. Fin qui la politica, ma ci sono poi altre dinamiche: il sindaco che viene a conoscenza dell’indagine a suo carico dai giornali, con un ritorno inquietante ai peggiori usi di Tangentopoli, i passaggi di verbali d’inchiesta che sanno di teorema manettaro, come “eversive degenerazioni”, o “cornice di un’azione amministrativa viziata da una corruzione circolare, edulcorata all’esterno”. In tutto questo, la vera prova per Beppe Sala non sarà sopravvivere all’inchiesta, ma dimostrare che Milano sa correggersi, se è il caso, senza lasciarsi trascinare in basso.
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