Le reazioni della Chiesa alla crisi negli Usa
La Chiesa collaborazionista di Viganò difende Trump: “Vuole la dittatura bianca”
Dove va la Chiesa cattolica negli Usa? Domanda legittima in vista di una nuova presidenza – che non piace ai vescovi, non a tutti – e dopo gli avvenimenti del 6 gennaio. Partiamo dall’altro giorno. Il presidente della Conferenza episcopale, l’arcivescovo José H. Gomez di Los Angeles, è intervenuto con un breve comunicato: «Mi unisco alle persone di buona volontà nel condannare la violenza oggi al Campidoglio degli Stati Uniti. Questo non è quello che siamo come americani. (…) La transizione pacifica del potere è uno dei tratti distintivi di questa grande nazione. In questo momento preoccupante, dobbiamo impegnarci nuovamente nei valori e nei principi della nostra democrazia e unirci come un’unica nazione sotto Dio». L’arcivescovo di Washington, il cardinale Gregory, è andato un po’ più in là: «Il nostro Campidoglio è un terreno sacro e un luogo in cui le persone nei secoli passati hanno giustamente dimostrato, rappresentando un’ampia varietà di opinioni. Dovremmo sentirci violati quando l’eredità di libertà custodita in quell’edificio viene mancata di rispetto e profanata. (…) Coloro che ricorrono a una retorica infiammatoria devono accettare una certa responsabilità per incitare la crescente violenza nella nostra nazione».
Il cardinale Tobin, arcivescovo di Newark, si è mantenuto su una linea mediana: «Gli eventi di ieri sono un’esposizione grafica della profonda e crescente polarizzazione nella società americana che è peggiorata da anni. Questa divisione non tiene conto della fede, della giustizia e dello stato di diritto. Per quanto scioccante possa essere intravedere quanto sia diventata disordinata la nostra nazione, la terribile verità è che non siamo immuni da un ulteriore decadimento morale e sociale. (…) La nostra fede include un impegno al rispetto reciproco, al dialogo e ai principi su cui si basa la nostra democrazia. Per due millenni, la nostra comunità ha cercato di vivere gli insegnamenti di Gesù. Siamo al nostro meglio quando mettiamo gli altri al primo posto, con il bene comune come nostra stella polare. Uniamoci a tutte le persone di buona volontà nella scelta della pace in questo tempo arduo».
Le Congregazioni religiose come i Maryknoll, impegnati negli Usa e in America Latina a favore della giustizia, ovviamente vanno oltre e chiamano per nome i responsabili. In una presa di posizione scrivono: «Chiediamo al presidente Trump e agli eletti di condannare il comportamento vergognoso di cui si è assistito oggi al Campidoglio e di lasciarsi alle spalle la retorica odiosa, le false affermazioni e i fallimenti nella leadership che hanno portato a questo. Chiediamo agli eletti di praticare la civiltà, promuovere il rispetto e l’unità e perseguire il tipo di “carità politica” nominata da Papa Francesco in Fratelli Tutti. I missionari di Maryknoll vivono e lavorano con comunità vulnerabili in nazioni in cui le norme democratiche sono spesso fragili o inesistenti. Conosciamo la profondità con cui le persone di altre nazioni contano sugli Stati Uniti per onorare i suoi principi fondanti di democrazia, ordine costituzionale e Stato di diritto. Dopo gli eventi vergognosi e scioccanti di oggi, chiediamo agli eletti e a tutto il popolo degli Stati Uniti di essere all’altezza di queste aspettative, sostenere le norme democratiche e sostenere un trasferimento pacifico del potere».
Ben più decisa, via Twitter, la netta condanna di alcuni esponenti di punta. Il gesuita James Martin, noto per il suo impegno sociale a favore delle minoranze discriminate per sesso o per motivi razziali, senza mezzi termini si esprime contro quattro anni di “bugie” e di notizie false che hanno avvelenato il clima sociale. E ripubblica, in evidenza, una decisa presa di posizione delle 28 tra Università e College dei Gesuiti negli Usa, in cui si stigmatizza senza mezzi termini quanto accaduto con nomi e cognomi. «La violenza di qualsiasi tipo è nemica dei principi della democrazia su cui è stata costruita questa nazione. Le motivazioni e le azioni di chi si è ostinato a denigrare il nostro sistema di leggi sono un triste e sfortunato risultato di tattiche che hanno lacerato il tessuto della nostra nazione. Il presidente e i suoi sostenitori hanno la responsabilità di perpetuare false voci e fatti non comprovati riguardo alle elezioni».
La “base” della Chiesa è più avanti della gerarchia, fatta eccezione per lo zoccolo duro dei tradizionalisti cattolici che insistono a non accettare la vittoria di Biden. Un presidente cattolico e democratico è per loro semplicemente inconcepibile. Perché democratico significa essere a favore dell’aborto e il “pro life” è il cavallo di battaglia che salda repubblicani duri e puri e tradizionalisti cattolici. Se poi un presidente repubblicano è fedifrago in famiglia, o disonesto in campo politico oppure economico, non conta. La coerenza nel mondo cattolico conservatore Usa viaggia di solito a senso unico. E proprio l’ex-nunzio Viganò tre giorni fa in un’intervista all’ideologo trumpiano Steve Bannon ha detto che se gli Stati Uniti «consentiranno che si insinui nelle masse l’idea che il verdetto elettorale dei cittadini, prima espressione della democrazia, possa esser manipolato e vanificato, essi saranno complici della frode e meriteranno l’esecrazione del mondo intero, che all’America guarda come ad una nazione che ha conquistato e difeso la propria libertà». La polarizzazione nella Chiesa e nella società si basa su una narrazione martellante che ha presa soprattutto sui ceti meno istruiti. E vanno bene analizzate le responsabilità.
Per il prof. Massimo Faggioli – docente alla Villanova University, che sta pubblicando in italiano il suo saggio Joe Biden e il cattolicesimo negli Usa, Morcelliana editore – questi eventi «dimostrano – dice a Il Riformista – che la estrema polarizzazione politica in America ha invaso la Chiesa: basta vedere come il sistema mediatico cattolico ha narrato gli eventi degli ultimi giorni ma anche i quattro anni della presidenza Trump. Ma gli eventi di tre giorni fa dimostrano anche che i cattolici americani devono contribuire a ricostruire – anche all’interno della chiesa – una cultura e un ethos della partecipazione alla vita pubblica. Le ‘culture wars’ nascono sulle questioni della vita negli anni Settanta-Ottanta, ma nel corso del tempo si sono trasformate anche da parte cattolica in un attacco all’idea stessa che la chiesa possa vivere in una società multiculturale e multireligiosa».
Bryan Massingale, docente di Etica teologica e sociale alla Fordham University di New York, ha analizzato la situazione in modo crudo sulla rivista America. «Non possiamo fingere di essere sorpresi, perché per anni la voce di Mr. Trump ha alimentato il risentimento dei bianchi verso il cambiamento del volto dell’America. Quello che abbiamo visto è un’evidente dichiarazione del fatto che molti bianchi preferirebbero vivere in una dittatura bianca piuttosto che in una democrazia multirazziale». E aggiunge: «Si tratta anche della conseguenza del silenzio complice e del sostegno attivo dei leader religiosi che si sono rifiutati di opporsi al cancro del nazionalismo bianco sostenuto apertamente da questo presidente e che gli hanno scusato ogni sorta di malefatta, di incompetenza e di brutalità, sostenendo che non si trattava del «male preminente» che doveva interessare il voto di un cattolico. (…) Non può esserci giustizia quando la farsa è passata per realtà, quando l’illusione razzista è approvata nel silenzio, quando il cinismo politico è spacciato per servizio pubblico».
Di fatto la crisi della democrazia è oramai dichiarata. E il ruolo della Chiesa è in questione. La domanda è se e quando sarà capace, in futuro, di superare steccati ideologici tipici di epoche di “valori non negoziabili” – in Italia ne abbiamo visto il fallimento – per guardare alla sostanza della giustizia e al superamento delle tante (troppe?) forme di disuguaglianza presenti nel “paese della libertà”.
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