La diaspora iraniana in Italia, nelle dichiarazioni televisive di questi giorni, ha il volto e la voce di Shervin Haravi, giurista ed attivista per i diritti umani. Haravi è di origine iraniana ma è nata a Roma e cresciuta in Italia. «Non sono iscritta a nessuna associazione o partito. Lo premetto perché anche gli iraniani in questo momento sono divisi tra tante sigle».

È divisa la diaspora nel mondo, perché in Iran…
«La censura della Repubblica Islamica non aiuta. Se ha visto il film Il Seme del fico sacro, presentato l’anno scorso a Cannes, avrà visto il contrasto che c’è tra ciò che viene fatto vedere nella TV di Stato e quello che invece gli iraniani – attraverso i vari canali che hanno a disposizione – riescono poi a far arrivare a noi».

Siamo in una fase in cui tutto può cambiare?
«Sicuramente la direzione che può prendere il popolo iraniano, o comunque la maggior parte degli iraniani, dipende molto da quando finirà la guerra e da come e quando sarà possibile avviare la fase di transizione. Veniamo da più di 45 anni di repressione della Repubblica Islamica sui suoi cittadini, con la violazione sistematica dei diritti umani. Ma gli iraniani hanno continuato a prepararsi: i prigionieri politici dall’interno delle carceri, gli attivisti all’interno dell’Iran, gli attivisti all’esterno, e la diaspora, che comunque conta sei milioni di persone, si è data una organizzazione».

Anche perché la società iraniana è strutturata, è un popolo ricco di intellettuali…
«Gli iraniani della diaspora si sono ben inseriti nei paesi in cui vivono, molti sono professionisti. Dal punto di vista culturale l’Iran è sempre stato molto attivo: la cultura dell’antica Persia, la letteratura, la storia, tutto ci insegna che gli iraniani sono sempre stati un popolo che non ha mai aspettato, per quanto è stato costretto a subire».

Hanno subìto molto, con quarantacinque anni di dittatura.
«La Rivoluzione del 1979 ha ingannato gli iraniani. È stata generata dal malcontento, sopratutto del ceto medio. Gli ayatollah avevano proposto una campagna di moralizzazione alla quale molti in buona fede avevano creduto. Poi hanno cambiato pelle, ha avuto inizio una repressione dura, crescente. Oggi non ne possono più del regime. E aggiungo: una volta ingannati così a lungo, non verranno ingannati un’altra volta».

Non c’è la possibilità che senza un presidio occidentale poi si torni, come è successo in altri paesi, a un regime islamico?
«Assolutamente no, non ci sono proprio i presupposti, non c’è la base affinché questo avvenga. Io spero che questa guerra finisca presto, che non ci siano più bombardamenti affinché il diritto del popolo iraniano di autodeterminarsi possa esprimersi. Con l’augurato cambio di regime, ci sono le basi affinché venga avviata una fese di transizione seguita da un referendum istituzionale: decidere la forma dello Stato, come fece l’Italia, tra monarchia e repubblica. In un contesto costituzionale di rinnovamento profondo».

Immagina il ritorno di Reza Pahlavi, che ieri ha parlato da Parigi?
«Come dicevo, condivido l’idea che ci sia un referendum che consenta agli iraniani di scegliere. Tra gli esponenti dell’opposizione sicuramente lui è uno che ha mostrato la sua disponibilità per gestire la transizione nei giorni più delicati, diciamo i primi 100 giorni. Si è messo a disposizione per aprire una consultazione che accompagnerà la scelta della forma di Stato per gli iraniani. Con un referendum costituzionale».

Dalla liberazione di Evin arriveranno nuove forze per l’opposizione.
«Se i prigionieri politici verranno liberati vedrete che si sprigionerà un’energia patriottica importante. La comunità internazionale ha sostenuto, ed è stato importante, molte voci della dissidenza. Il premio Nobel per la pace a Shirin Ebadi nel 2003, quello dato nel 2023 a Narges Mohammadi, mentre era in carcere, tutti i premi che sono stati dati da fondazioni e enti, come il Cnf che ha premiato l’avvocato Nasrin Sotoudeh per il suo attivismo. O il premio Sakharov che è stato dato alle donne iraniane. Per non dire delle risoluzioni del Parlamento Europeo nei confronti della magistratura corrotta della Repubblica Islamica. Tutti segnali che hanno incoraggiato il popolo iraniano, che adesso è pronto a coglierli».

Assisteremo a manifestazioni, a Teheran, in questi giorni?
«Immagino proprio di sì, ma in questi giorni di guerra il regime continua ad eseguire le esecuzioni e ad arrestare i dissidenti. Nel 2024 si è raggiunto l’apice, circa mille persone sono state impiccate».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.