A pochi metri dalla casa della famiglia Proust, alle spalle del Parc Monceau, si trovava l’abitazione dei Bibesco, famiglia rumena (infatti, Bibescu) emigrata a Parigi, di cui il giovane Antoine fu uno dei primissimi e più cari amici di Marcel. Sua parente era Martha, principessa, bellissima – fu anche ritratta da Boldini – generosa e la cui intelligenza, scrisse Proust, «era un’altra forma di civetteria». Negli anni della Belle Époque la Capitale francese, manco a dirlo, era la capitale del mondo, e tra le tante preziosità che custodiva vi fu appunto una piccola comunità rumena fatta di nobili europei più o meno decaduti dopo il naufragio degli Imperi; e di intellettuali geniali, filosofi, letterati e artisti.

Da poco è uscito un volumetto raffinato su alcune figure di quel Paese che da noi non ha una grande immagine a causa dei lunghissimi decenni di dittatura prima fascista e poi comunista, e sinonimo di arretratezza economica e sociale. Lo ha scritto Carolina Vincenti (“Fantasmi romeni – Dieci biografie straordinarie”, La Lepre Edizioni), restituendoci i rapidi e incisivi ritratti di dieci personaggi rumeni, alcuni dei quali grandissimi per la cultura europea come Emil Cioran e Mircea Eliade (peccato manchi il terzo grande rumeno che scriveva in francese, Eugène Ionesco), ma anche il direttore d’orchestra Sergio Celibidache e il grande artista Brancusi: il visitatore di Parigi non può non imbattersi nelle sue sculture che sono piazzate dietro il Centre Pompidou a Beaubourg. Cioran è probabilmente il più importante tra loro.

«Sondando gli abissi del destino umano, aveva colto l’essenziale futilità del cercare. La morte, da allora, lo aveva accompagnato. Assieme al dubbio che Dio fosse diventato un problema di second’ordine. Il dilemma essenziale era cercare una via di salvezza, seppur con il presentimento di dover sperimentare il fallimento. “Non si pratica impunemente il sarcasmo per così tanti anni” capita di leggere in una lettera indirizzata al sempre amico Eliade dopo che tutte le negazioni gli si erano ritorte contro. Nel 1946, in una missiva indirizzata al fratello Aurel che permette di entrare sotto la pelle di chi scrive, come talvolta accade, curiosando nelle altrui esistenze, confessava di essere “diventato immune a tutto, alle vecchie fedi come a ogni fede futura”».

Aveva una poesia di Leopardi appesa al muro, Cioran, il più grande pessimista-nichilista del Novecento (il che non gli impediva di essere un uomo di spirito), fraterno amico di Eliade, un altro grande scrittore nonché storico delle religioni, che proprio a Cioran una volta scrisse: «Se per la prima volta hai dei soldi e non sai come spenderli, compra libri». Nel libro, poi, c’è tutto l’amore per quel lontano e non fortunato Paese, e per Bucarest, imbruttita nei decenni delle dittature ma ancora in grado di rivelare qua e là piccole bellezze imbevute di spirito tra parigino e asburgico.