Il suo giardino di Babuk, abitato da gatti e presenze ancestrali, sorge nel cuore di Napoli, in quella zona antica e magnifica dove si espande l’orto botanico. Parliamo di una delle figure più interessanti di intellettuale napoletano, il professor Gennaro Oliviero, che ha pubblicato quest’anno una ricca raccolta di scritti dedicati alla persona per la quale egli da una vita nutre un’assoluta, irrevocabile, irresistibile devozione: Marcel Proust (Il mio Proust. Scritti proustiani 1998-2021, Il ramo e la foglia edizioni, pp. 378, euro 20). Del quale, com’è noto, in questo 2022 ricorre il centenario della morte, occasione di pubblicazioni e incontri attorno all’autore di quella cattedrale della scrittura – e della memoria della scrittura – che è il suo Alla ricerca del tempo perduto.

I saggi di Oliviero sono tanti e anche variegati, a dimostrazione della durata e dell’intensità del suo culto proustiano, ma anche della curiosità vivissima che anima il suo autore (e che dovrebbe costituire una lezione di metodo di vita culturale per i vari torpori autoreferenziali che infestano la città di Napoli, ma pure un po’ tutta l’Italia). Nei ristretti spazi di questa presentazione, mi limiterò a segnalare il saggio ampio e ramificato che si intitola per l’appunto alle cattedrali in Proust: “Proust e le Cattedrali: Les Cathédrales de la Mémoire di Lavinio Sceral”. Intese, queste, innanzitutto come edificio di culto e testimonianza storica del cristianesimo occidentale: “una riprova vistosa è costituita dalle fitte note esplicative contenute nella sua traduzione della Bibbia di Amiens, illustrativa di una cattedrale che per Proust è concretamente ‘un libro di pietra’. (…) Proust è preoccupato per la preservazione del patrimonio culturale francese e quindi si oppone ai laici che, secondo alcuni, sarebbero pronti a lasciar cadere in rovina le cattedrali gotiche”. Per il geniale inventore dei personaggi di Swann, Saint-Loup e Albertine, esse sono dei “musei viventi”.

Proust le amava e di questo amore la Recherche reca numerose tracce, a partire dalla loro prima apparizione a Combray: “Con le sue vetrate e i suoi arazzi, le sue consunte pietre tombali, la sua stratificazione di stili e strutture, l’interno della chiesa gli appare come uno spazio a sé stante, dotato di una quarta dimensione, quella del Tempo”. Ma cattedrale è anche il simbolo delle costruzioni dello spirito e dell’arte che spiccano per vastità di intenti nello sforzo di armonizzare spazi apparentemente non comunicanti. Oliviero rileva, a questo proposito, che Proust aveva ben chiara la presenza di spazi, nei sette volumi della sua opera, tutti rigorosamente connessi da una linea di pensiero attraversata dal tempo: è Proust, in una lettera dell’agosto 1909 all’editore Alfred Vallette a scrivere, riguardo a La strada di Swann, che “Chi lo leggerà, si accorgerà, arrivato alla fine, che tutto il romanzo è l’applicazione di principi artistici dichiarati nell’ultima parte, che è una prefazione messa alla fine”. Così, Oliviero ci ricorda che “il solo merito della sua opera è per Proust la “solidità di ogni minima parte”: il grande merito di questo libro è di ricordarci a ogni pagina il prodigio di siffatta solidità.