L ’idea di raccontarci di nuovo un personaggio avvolto nei nembi del mito della sua stessa bellezza e audacia – pur stagliandosi nella concretezza di tappe centrali della storia del XIX secolo – attraverso una linea compositiva che, cronologica e tematica insieme, adopera i “cromatismi” della corrispondenza epistolare di e con la Contessa Virginia Verasis di Castiglione, poteva essere attuata in Italia, con tale rigore di cesello e limpidezza, soltanto da Benedetta Craveri.

Il suo La Contessa (Adelphi, pp.452, euro 24), è infatti un ritratto fondamentalmente costruito su tre voci: anzi un trio strumentale eretto sulla lingua dell’epistolario, sul linguaggio dei ritratti fotografici, sulla presenza – puntuale con discrezione – della voce narrante.  Le lettere: ripercorriamo la vita della Contessa, dalla nascita a Firenze, figlia dei marchesi Oldoini, il 22 marzo 1837, al matrimonio con Francesco Verasis Asinari, conte di Castiglione, dalla nascita di Giorgio, figlio unico (che firma appassionate lettere di devozione filiale vergandole con grafia infantile “Lo Fü”, in traslitterazione errata dal cinese, per significare “love”), al debutto-terremoto della sua bellezza perfetta ma inquietante – portatrice di un distacco da sfinge – in quella Parigi dove la Contessa, divenuta amante di Napoleone III, fungerà da arma diplomatico-erotica essenziale a realizzare i piani del cugino conte di Cavour e del re Vittorio Emanuele II, del quale pure sarà amante.

E queste lettere che, con pazienza di amanuense silenziosa, Benedetta Craveri ci ricompone di brano in brano, sono ora avvincenti, ora brutali, ora eccitanti, sempre sorprendenti (si pensi al rapporto burrascoso tra la contessa e sua madre, Isabella Lamporecchi). La capacità della Contessa di cogliere quanto va accadendo nel mondo maschile – politico, militare, diplomatico – è stupefacente: il linguaggio di “Nicchia” (dal diminutivo “Virginicchia”) s’impenna, corre, frena, e sempre corrisponde all’ansia della nostra protagonista di trovare il modo di avere un suo peso specifico sopra la scacchiera internazionale. Certo, attraverso la sua bellezza. Sua croce e delizia, è con essa che la Contessa, questa Carmen in vesti di nobildonna, ben sa che può ambire a creare uno spazio di libertà altrimenti negatole da un mondo tanto moralista quanto corrotto.

“In realtà, più della disinvoltura sentimentale, quello che disturbava nella contessa di Castiglione erano la ‘stravaganza scandalosa’, l’irrequietezza, la vita misteriosa e girovaga. Appariva e spariva continuamente, era sempre in viaggio, tanto che l’avevano soprannominata ‘la valigia del mistero’”. E vi sono, a testimoniare dell’inafferrabilità di questo uccello ribelle, le straordinarie foto di Pierre-Louis Pierson (alcune riprodotte al centro del libro: segnalo, fra tutte, “Scherzo di follia”). Lo spazio fotografico costituiva quel luogo di libertà corrispondente all’immaginazione della Contessa: ad esso si unisce la voce narrante di Benedetta Craveri per tratteggiare l’indole indomabile che solo volle un campo d’azione integro e fieramente indipendente. Evviva la libertà di “Nicchia”! con tutto quello che tuttora è capace di rappresentare ai nostri occhi.