Ritorna Vincenzo Malinconico ed è un vero piacere. Con Sono felice, dove ho sbagliato? (Einaudi, pp.238, euro 17,50) Diego De Silva ci regala un’ulteriore tappa delle avventure legal-esistenziali e, mai come in questo romanzo, sentimentali, dell’avvocato penalista napoletano. Al centro della storia, infatti, campeggiano i pantani d’amore (nelle pagine iniziali ne troviamo quattro tipi), quei viluppi rintrecciati di storie affettive mal funzionanti, che non vanno avanti di un passo e neppure di un passo retrocedono. Insomma, una mota interiore dove gli sventurati si voltolano compiaciuti della loro impossibilità di essere felici.

Naturalmente, il drammone di costoro farà saltare i nervi al nostro saggio Malinconico col suo armamentario di sana critica della ragion pratica, ma soprattutto farà ridere di cuore il lettore: l’impantanato del quarto tipo, o della rivalsa, chiede che “al suo pantano venga riconosciuta la dignità del diritto. E dunque che il suo diritto-pantano ottenga un risarcimento. Perché il problema, qui, è che la questione di principio è l’amore”. Il romanzo si sviluppa tra colpi di scena amorosi da folle giornata mozartiana trapiantata in un Sud (uno dei personaggi fondamentali, basti questo, si chiama addirittura Maria Egizia – detta Ega.) che ondeggia tra uffici della Procura, linguine al cartoccio e pretese giuridiche tanto fantasiose quanto agguerrite: vi sarà un primo scioglimento dei nodi – la tensione di oscure minacce da parte di un Joker risolta, il gruppo degli impantanati, che vuol fare una class action contro gli amanti che li tengono crudelmente al laccio, sbugiardato – dopo il quale il lettore si chiederà: ma che deve più succedere? Succederà, succederà: il tema dell’amore infelice assurto a diritto violato o negato sarà sviscerato fino in fondo, come ogni scrittore che è o fu giurista sa di dover fare.

Ma la sorpresa che mi lascia questo libro (e che rende necessario parlarne sulle pagine di un giornale che quotidianamente entra nelle aule di tribunale) è il modo, di soffice disincanto, di risata non incancrenita da una soverchia amarezza, di intelligenza delle cose tutta meridionale – mi sia permesso -, un modo che sa toccare, smontandole, due forme dogmatiche del mondo della giustizia e del diritto attuali: 1) il processo per cui sentimenti privatissimi vogliono invadere il dominio del diritto: contro questa deriva Malinconico elabora una sententia perfetta: “il dolore non ha mai pignorato nessuno”; 2) il peso dell’intelligenza artificiale: quando la donna di Malinconico, l’indomita Veronica, darà una soluzione brillante a una questione sentimentale ma anche istituzionale (in fondo parliamo di una possibile liaison tra un PM e il panciuto avvocato penalista Benny Lacalamita), Malinconico commenta: “perché ci sono problemi che non hanno parametri comunicabili. E sono proprio i parametri, il problema. Infatti quando l’intelligenza artificiale non sa risolvere un problema cosa fa? Cambia i parametri e ti risponde completamente a cazzo”. Vogliamo subito Malinconico, con la sua beffarda ma commossa visione su felicità e diritto, presiedere nientedimeno che un corso obbligatorio comune per magistrati e avvocati.