Sin dal titolo il romanzo d’esordio del giovanissimo Vittorio Punzo (classe 1998, nato a Cassino, vive a Caserta) introduce ad una prospettiva di ambiguità, metodo di racconto forse capace di sintetizzare il senso più riuscito di un lavoro di scrittura di sicura originalità: in L’età delle madri (Alter Ego, pp. 199, euro 16), la voce appartiene a un sedicenne, Domenico, che abita un paesello di provincia, Pacifica, dove c’è un fiume, la piazza, qualche bar, gli anziani che parlano di politica, lo stravagante Malatesta con una tromba, vicini di casa che ascoltano talvolta Rossini, un’amica ventosa di nome Roma: non sappiamo nulla di Domenico, della sua famiglia, compare talvolta un padre che dorme e sorride, e una classe scolastica che lo annoia profondamente.

Il racconto riguarda soltanto due donne. Una è Maria Vittoria, la fidanzata; l’altra è Anna, la madre di Maria Vittoria. Prima stranezza agli occhi del paese e dei compagni: Maria Vittoria ha ben ventuno anni, cinque più del protagonista. Non molti di più Anna, che divenne madre controvoglia a sedici anni in un altro luogo, in un altro tempo. L’unico grande racconto, che si intitola “Voluttà infantile” e che incalza quasi fino alla fine, scandisce prima i giorni della relazione tra Domenico e Maria Vittoria, poi un quasi impercettibile scivolamento del campo visivo del lettore. Lo sguardo di Domenico è infatti sempre più attratto da Anna, dalla sua vita infelice, dalle sue abitudini infantili, dalla sua stranezza macchiata di rossetto attorno a sigarette e calici di vino consumati in quantità pantagrueliche: e in effetti, a un tratto, il lettore si accorgerà che la presenza di Mari V si fa remota, ingombrante quella della madre. In questa strana casa, con la gatta Tina, la vicina guardona, i cardellini che impazzano in garage, la Kentia sovra-innaffiata, a Domenico viene riversata addosso un’educazione sentimentale dal finale inaspettato (l’amica, Roma – personaggio sapienziale – l’aveva invece davanti il finale, sin dall’inizio: «Tu non sei tu, lo vedo. E chi sono. Ti stanno cambiando. Ma che dici. Sei fossilizzato ormai. Roma abbassa la voce. Ti prego partiamo per vedere le onde giganti dell’oceano e le piovre e le balene»).

La vera forza di questo romanzo resta la voce di Domenico, la compassione che attraversa sempre il suo sguardo, chiave mai come oggi essenziale per intendere il presente e accedere al futuro: «Le persone, la sfortuna, l’amore, la vergogna, il dolore, il piacere. Non lo so. Per me, il dolore, il piacere, la vergogna sono luoghi diversi. Trovarli tutti insieme, sovrapposti, è un collage». Collage che fa mille giri e ritaglia cose minime e presenze enormi, le mette insieme sfidando l’abitudine della logica, e col dito segue le figure nuove, le tocca, le ama, le accoglie, le perde: «perciò molti ci invidiano: sappiamo perderci nel paese e vivere ogni suo angolo… La fatica, Maria Vittoria, ci permetterà di salire sulla zattera e con la zattera armati di coraggio risalire il fiume». Ed è quest’opera di collage che fa Punzo in un romanzo d’esordio del quale, apprendendo col tempo più solide costruzioni narrative, non dovrà perdere uno sguardo e una voce sinceramente, instancabilmente performativi.