Noi robot
Alla ricerca del tempo (di qualità) perduto, l’intelligenza artificiale rivoluzionerà la produttività: chi ci guadagna davvero
Strumenti avanzati migliorano l’efficienza lavorativa, come report in pochi secondi, diagnosi accelerate. Tra promesse di risparmio e perdita di controllo (il nostro), chi guadagna davvero da questi vantaggi?

Il tempo è una delle grandi ossessioni contemporanee: forse perché abbiamo l’impressione di subirne individualmente il ritmo quotidiano, ci siamo messi all’inseguimento del tempo “sociale”. Con il risultato di avere generato una letteratura sterminata, “alta” e “bassa”, che ruota attorno a concetti più o meno misurabili (efficienza, produttività, VOT – Value Of Time), arriva a filosofeggiare di spreco e risparmio del tempo ormai liquefatto, negli stili di vita, e alla fine evapora in concetti-hashtag (#qualitytime) che hanno invaso Instagram di autocompiacimento fotografico.
Non sono solo i messaggi di WhatsApp, oramai letti a una velocità doppia rispetto a quella originaria. C’è anche il fenomeno dilagante del “fast-watching”, diventato una (folle) pratica sempre più comune: volete guardare il vostro programma preferito ma avete poco tempo? Potete farlo grazie a una funzione proposta da varie piattaforme streaming, tra cui Netflix, che aumenta la velocità di visione a 1.25x o 1.5x: il risparmio di tempo promesso, anche per rilassarsi, su una serie da 10 episodi è di ben 2 ore e 30 minuti!
Quel che è certo è che uno di più pesanti leitmotive che ricorre nelle analisi sull’intelligenza artificiale, è quello sul tempo rivoluzionato dagli strumenti dell’IA in ogni ambito lavorativo. Rivoluzionato in meglio, si intende, e il dato non è opinabile.
Un pezzo di qualche giorno fa, pubblicato sul Financial Times, citava alcuni esempi di questa produttività migliorata. Uno era rappresentato dalla famosa società Usa che lavora nell’ambito della sicurezza pubblica, Axon, che sta sfruttando l’intelligenza artificiale e i dati di prossimità. Un suo prodotto, Draft One, consentirebbe alla polizia di scaricare le immagini delle bodycam, premere alcuni pulsanti e creare in pochi secondi una prima bozza dei “report sugli incidenti” che oggi occupano circa il 40 percento del tempo degli agenti.
L’altro esempio citato dal FT riguarda i professionisti della salute mentale che stanno iniziando a usare l’intelligenza artificiale per tracciare le scelte di parole dei clienti durante le sedute. Si pensi al cambiamento che può generare: la scelta delle parole può essere un fattore importante per comprendere la malattia mentale e formulare diagnosi. In passato, questo dipendeva dalla memoria e dalle percezioni del terapeuta. Ora, l’analisi basata sull’intelligenza artificiale sarà, secondo le sue parole, un “punto di svolta” in termini di efficacia nella diagnosi e nel trattamento dei pazienti. In tempi ridottissimi.
Certo, l’intelligenza artificiale ha radicalmente rimodellato i mercati del lavoro, in parte perché gran parte del clamore proviene dall’industria tecnologica stessa. Ma non solo.
Negli anni Novanta, gli Usa superarono l’Europa in termini di implementazione tecnologica e, di conseguenza, di crescita economica e di mercato. Oggi l’IA sembra aver messo questa tendenza “sotto steroidi”. Ma ovviamente esiste un disallineamento tra il tempo del mercato e della economia di un paese e quello dei lavoratori, delle persone insomma. E la definizione, coniata dopo la recessione del 1990-91, di “ripresa senza lavoro” aiuta un po’ a capire come storicamente le fortune di paesi, aziende e individui spesso divergano in periodi di cambiamento tecnologico.
Ovviamente, ci vuole tempo perché i mercati del lavoro e le persone si adattino al cambiamento tecnologico. Sì, come ci diranno gli economisti, le nuove tecnologie alla fine creano nuovi posti di lavoro. Ma come possono testimoniare storici, sociologi e assistenti sociali, questo non attenua il dolore di chi questi grandi cambiamenti li attraversa. Né impedisce le sconvolgenti convulsioni politiche che possono derivarne: tra tutte, il populismo che dilaga in Europa.
Il premio Nobel e professore del MIT Daron Acemoglu, oggi, riflette su come sia probabile che i guadagni a breve e medio termine dell’IA saranno distribuiti in modo diseguale e “avvantaggeranno il capitale più del lavoro”. E gli svantaggi sono anche in termini di ansia. Sì, proprio così: Jim Clark, fondatore del Future of Employment and Income Institute, fondato di recente a New York, sostiene al FT che “l’ansia economica modifica il comportamento e può creare grandi cambiamenti politici”. E sociali.
Alla ricerca del tempo perduto dello scrittore francese Marcel Proust ha fama di essere il romanzo più lungo del mondo (non è così nonostante le sue 2.376 pagine). Generalmente, chi vorrebbe leggerlo per intero è sopraffatto dall’ansia della sua lunghezza: per questo, negli anni, si è alimentato tutto un dibattito su come renderlo più affrontabile. Qualcuno ha consigliato di leggerlo, per esempio, in un ordine diverso da quello deciso dallo stesso Proust, saltando alcune parti. Una follia per alcuni, un ragionevole compromesso per altri, più pragmatici.
Una domanda, infine: siamo proprio sicuri che tutto il tempo “guadagnato” resti nella nostra disponibilità o che, al contrario, non ci sfugga via come polvere tra le dita?
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