Il congresso della Lega comincia oggi, e le diverse correnti all’interno del partito dovranno prendere un’unica direzione nelle acque calme dell’Arno. Si riconferma il vicepremier Matteo Salvini come segretario, con le migliori intenzioni di portare il Carroccio verso la stabilità, passando sopra tutte le polemiche e le sedicenti divisioni di cui si è tanto parlato – e scritto – negli ultimi giorni.

Tra i mandati multipli di Zaia, Vannacci che non è (ancora) iscritto al partito e la questione del Nord trascurato, il filo rosso che tiene unita la Lega è, prima di tutto, la questione delle autonomie. Il senatore Claudio Borghi ha dichiarato al Riformista: «Il tema delle autonomie sarà il filo conduttore della linea definitiva che verrà sancita per il partito. La parte storicamente autonomista e la parte euro-critica, che è la ventata di novità portata da Salvini, e che io condivido, sono due facce della stessa medaglia. Perché chi chiede più autonomia ai territori, non può essere fan dell’idea di un superstato europeo».

Certo è che se il tema delle autonomie nella Lega fa da collante, per gli italiani la questione è quasi da guerra civile. Dopo l’approvazione del disegno di legge sull’autonomia differenziata, nel giugno 2024 la presidente del Consiglio Giorgia Meloni dichiarava che, grazie alla riforma del titolo V, che aveva ridisegnato i ruoli degli Enti locali, nella nostra Costituzione era già previsto che le Regioni – ma solo quelle a statuto ordinario – potessero ottenere una maggiore autonomia. Meloni puntualizzò anche che la riforma del 2001 fu approvata sotto il governo di Giuliano Amato, sicché per l’opposizione forse non era il caso di prendersela così a cuore. Sta di fatto che alla Camera, tra saluti della X Mas e cori di Bella Ciao, tanto per cambiare è partita la rissa. Lo scorso novembre le giunte (di sinistra, ça va sans dire) di Toscana, Sardegna, Campania e Puglia si sono rivolte alla Corte Costituzionale perché la legge venisse verificata ma, da verdetto, le autonomie promosse da Calderoli e da Meloni non hanno in alcun modo violato la nostra Costituzione.

Però a cercare il pelo nell’uovo spesso qualcosa si trova: e se è vero che l’articolo 116 è stato rispettato, sette punti della tanto discussa legge sono stati dichiarati illegittimi. Per citarne alcune, le Regioni a statuto speciale non potranno ottenere le stesse autonomie di quelle a statuto ordinario. Blocco anche sui Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) ovvero i servizi che lo Stato reputa fondamentali per i cittadini, e che il governo avrebbe identificato non seguendo i giusti criteri. Anche la capacità dell’esecutivo di avvalersi di decreti ministeriali, anziché di disposizioni di legge per modificare le aliquote per le tasse nelle Regioni, è stata contestata. Un’ennesima battuta d’arresto, non irrimediabile ma neanche indifferente.

E mentre il referendum che è stato richiesto per abrogare la legge è stato dichiarato dalla Consulta inaccettabile, i leghisti continuano a sperare per il meglio. Un passo avanti e un passo indietro, ma prima o poi ci si arriverà. Sul successo del congresso della Lega, Borghi ha le idee chiare: «Mi aspetto una prospettiva a lungo termine e la conferma di Salvini, con le stesse intuizioni e le stesse idee lungimiranti che lo avevano portato alla segreteria del partito del 2013. Quelle idee, oggi si rivelano attuali più che mai».