Il viaggio di Kirill Dmitriev, inviato a Washington da Vladimir Putin, ha confermato che il dialogo tra Casa Bianca e Cremlino continua. Per il consigliere del presidente russo, dopo la due giorni di incontri si sarebbero addirittura compiuti “tre passi in avanti”. Ma in attesa di capire quanto vi sia di concreto in questi passi, un dato è certo: Stati Uniti e Russia non hanno intenzione di bloccare i canali di dialogo. Nel frattempo, Kyiv appare sempre meno al centro della scena. Donald Trump ha già fatto capire di non apprezzare il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, e di volere prima di tutto l’accordo economico. E l’Ucraina sa che, se può sperare in alcune garanzie di sicurezza, queste potranno venire solo dalla Nato e con l’Europa in grado di convincere Trump.

Francia e Regno Unito si muovono

Per ora però l’unità di intenti in casa atlantica appare decisamente in dubbio. E a muoversi, intanto, sono i singoli Stati europei. Due in particolare, Francia e Regno Unito. Dopo il summit di Parigi voluto da Emmanuel Macron e l’annuncio della cosiddetta “missione di rassicurazione”, i due governi hanno iniziato a muoversi. Venerdì i capi di Stato maggiore di Francia e Regno Unito sono sbarcati a Kyiv per discutere proprio del possibile dispiegamento di un contingente dei due Paesi. “Ci sarà, prima o poi, bisogno di capacità militare o di rassicurazione, una volta raggiunta la pace. Ecco perché i nostri capi dell’esercito saranno oggi a Kyiv, per portare avanti questo lavoro”, aveva annunciato il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, insieme al suo omologo britannico, David Lammy. E l’obiettivo delle delegazioni di Parigi e Londra – guidate dal generale Thierry Burkhard e dall’ammiraglio Tony Radakin – è proprio quello di studiare la fattibilità del piano direttamente con i loro colleghi ucraini e con lo stesso Zelensky.

Il segnale

La situazione non è affatto semplice. La “missione di rassicurazione”, ancora del tutto potenziale, è infatti una sorta di manovra di emergenza rispetto all’indecisione mostrata dai cosiddetti “volenterosi” che si erano riuniti a Parigi. Mandare gli uomini in Ucraina senza ancora conoscere le prospettive dell’accordo di pace tra Kyiv, Mosca e Washington aveva spaccato il summit e lasciato Macron e Keir Starmer da soli. Ma Francia e Gran Bretagna hanno tirato dritto anche per inviare un segnale di unità e di reattività rispetto alle mosse di Trump e Putin. E gli stessi Barrot e Lammy, due giorni fa, dalla sede della Nato hanno confermato questa linea. “Vediamo che cosa sta facendo Putin”, ha detto il ministro britannico, quindi “sosterremo l’Ucraina, per metterla nella posizione più forte possibile”. Barrot ha sottolineato anche che Putin “non vuole la pace” e, proprio per questo motivo, starebbe “procrastinando” la risposta sul cessate il fuoco. Il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha chiarito venerdìche se quella di Putin è “una tattica dilatoria, Trump non è interessato”. E il campo di battaglia in effetti getta più di un’ombra.

Raid russo su Kryvyi Rig

Un raid russo su Kryvyi Rig, la città natale di Zelensky, ha causato almeno 12 morti e oltre 50 feriti. E venerdì sera il presidente ucraino ha comunicato su X che tra i morti vi erano anche sei bambini. Tra raid, avanzate nell’est e reclutamento di massa, Parigi e Londra ritengono che Mosca non voglia una tregua nel breve termine né una pace che non si traduca, di fatto, in una resa di Kyiv. Questo è anche il pensiero della Germania, la cui ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, ha detto che gli ultimi attacchi russi certificano che “le parole di Putin sui negoziati non sono altro che promesse e parole vuote”.

Il ruolo del Vaticano

E mentre Francia e Regno Unito inviano i capi delle forze armate a Kyiv e la Germania continua a fare muro, in Europa l’unico attore che si muove nei binari della neutralità e con cui Mosca ha mantenuto un canale di dialogo rimane la Santa Sede. Due giorni fa c’è stata una telefonata tra il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, e il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, monsignor Richard Gallagher. Nel colloquio, hanno spiegato da Mosca, Lavrov “ha espresso gratitudine alla Santa Sede per l’assistenza nella risoluzione delle questioni umanitarie, incluso lo scambio di prigionieri”. Ed è la prova che il Vaticano, pur nella complessità del momento, continua nel suo intricato risiko diplomatico.