Lorenzo Pregliasco è analista politico, saggista, docente universitario e co-fondatore di YouTrend, laboratorio di ricerca e comunicazione che da anni è punto di riferimento in Italia per l’analisi dei flussi elettorali, dei sondaggi e delle dinamiche del consenso politico. Con YouTrend cura la Supermedia dei sondaggi e progetta percorsi di formazione sulla comunicazione politica. Come quello che vedrà presto la luce, per la dodicesima edizione, a Torino.

Giorgia Meloni ha più volte evocato la necessità di cambiare la legge elettorale. A suo avviso, il proporzionale è davvero all’orizzonte o si tratta di un’arma negoziale in vista di equilibri più tattici?
«Credo che ci siano ragioni di utilità e di vantaggio sulla carta per il centrodestra nell’intervenire sulla legge elettorale. D’altra parte, quando si modifica la legge elettorale si sa da dove si parte ma non si sa dove si arriva. Anche il Rosatellum nacque al termine di un percorso arzigogolato, pieno di inciampi. È chiaro che c’è anche una possibile utilità negoziale: unire al proporzionale elementi come un premio di coalizione serve a costruire uno strumento ibrido, molto distante dal proporzionale puro. Ma ritengo che questa ipotesi venga studiata concretamente dal centrodestra».

Una riforma proporzionalista potrebbe finalmente rispecchiare meglio la reale frammentazione dell’elettorato?
«Secondo me no. Se la riforma è imperniata sul concetto di coalizione e prevede un premio di maggioranza, continuerà a spingere verso il bipolarismo. È vero che una volta in Parlamento ogni gruppo può riorganizzarsi, ma lo schema di cui si parla resta di tipo coalizionale. Un sistema davvero proporzionale, come in molti Paesi europei, non credo sia nelle corde del centrodestra: li condurrebbe a una probabile ingovernabilità».

Se tornasse il proporzionale, cosa diventerebbe il centrodestra che abbiamo conosciuto fino a oggi?
«In presenza di un proporzionale puro, senza premi e senza logiche pre-elettorali, la partita si sposterebbe a dopo il voto. È uno scenario che abbiamo vissuto solo nel 2013 e nel 2018, quando nonostante ci fossero premi di maggioranza, non si è ottenuta una vera governabilità. Le coalizioni diventerebbero irrilevanti in partenza, e si costruirebbe una maggioranza solo a urne chiuse. Ma ripeto: questo schema non coincide con quello che si sta realmente profilando oggi».

Forza Italia può tornare centrale con un sistema proporzionale?
«Con un proporzionale, le forze “di frontiera” possono assumere un peso decisivo nel post-voto. Se Forza Italia superasse lo sbarramento con un 8%, potrebbe eleggere un numero significativo di parlamentari, e diventare ago della bilancia in Parlamento. Questo tipo di dinamica sposterebbe le geometrie delle alleanze dal pre al post elezioni. In Europa è la norma: le coalizioni si formano dopo il voto, non prima. Il modello italiano, con coalizioni pre-elettorali e premi alla coalizione vincente, è una peculiarità nazionale».

Il ritorno al proporzionale libererebbe gli elettori dalla logica del “voto utile”?
«Il voto utile esiste sempre, anche in sistemi proporzionali. Alle ultime europee si è visto: c’è stata una concentrazione sul Pd e su Fratelli d’Italia, anche per via dello sbarramento al 4%. Forze come Azione e Stati Uniti d’Europa ne sono rimaste penalizzate. Allo stesso tempo, AVS ha ottenuto un buon risultato più per un voto d’opinione che per logiche di utilità. La soglia di sbarramento introduce sempre un minimo di voto utile, ma il vero fattore resta la percezione di forza: gli elettori convergono su partiti percepiti come capaci di contare, più che per una vera comprensione tecnica del sistema elettorale».

Il proporzionale significa automaticamente ingovernabilità?
«Con un proporzionale puro, l’ingovernabilità è molto probabile in Italia. Non esiste un’area politica sufficientemente omogenea da superare stabilmente il 50%. La forza del centrodestra oggi è proprio la capacità di offrire una garanzia di governo. Ecco perché si pensa a un proporzionale “temperato” con premio di maggioranza: serve un meccanismo correttivo. Ma anche in questo caso, con i numeri attuali – centrodestra intorno al 45% – è difficile andare oltre un certo margine».

In un sistema meno maggioritario, le leadership carismatiche si rafforzano o perdono centralità?
«Le leadership forti resteranno centrali anche in un sistema proporzionale. Magari la centralità si distribuisce tra i leader di partito più che su un capo coalizione unico. Ma attenzione: è un altro motivo per cui al centrodestra non converrebbe un proporzionale puro. In quel caso il centrosinistra potrebbe evitare di dover indicare una guida unitaria, una difficoltà nota. Credo che lo schema su cui ragiona la destra sia: proporzionale con soglia di sbarramento, premio di coalizione, forse liste bloccate con preferenze e indicazione del capo coalizione sulla scheda».

Avete da poco lanciato un percorso formativo con YouTrend. A chi si rivolge?
«È un’iniziativa che esiste da dodici edizioni, si chiama Election Days ed è la nostra scuola di comunicazione politica e istituzionale. Torna a Torino dal 9 al 12 ottobre. Si rivolge sia a giovani e studenti interessati alla politica, sia a professionisti della comunicazione, amministratori pubblici e operatori istituzionali. È un’occasione formativa molto concreta, con esperti italiani e internazionali, per chi vuole capire e lavorare nel mondo del consenso e della politica».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.