Luigi Marattin, deputato e segretario del Partito Liberaldemocratico, stimato dai sondaggisti al 2%, ha annunciato il lancio di un asse strategico con Azione.

State lavorando a un’intesa organica con Azione di Carlo Calenda o a un semplice patto tecnico? In che tempi e con quali paletti programmatici?
«Stiamo facendo quello che abbiamo sempre promesso. Il Partito Liberaldemocratico non è nato per fomentare la competizione al centro (che tanti danni ha già fatto), ma per costruire un’unica offerta politica liberaldemocratica alle elezioni del 2027. Con chiunque abbia una visione di società liberal-riformatrice e sia alternativo a destra e sinistra. A fine inverno saremo pronti, in modo da fare più di un anno di campagna elettorale pancia a terra».

Alle prossime politiche vi presenterete con un unico simbolo e un’unica lista con Azione, oppure manterrete identità separate dentro una coalizione riformista?
«Sono dettagli tecnici che appassionano solo gli addetti ai lavori. La sostanza politica è che non vogliamo fare un progetto elettorale di corto respiro, bensì un progetto politico stabile e duraturo per i prossimi anni. La casa di tutti coloro che rifiutano il populismo (di destra e di sinistra) e il conservatorismo, e vogliono realizzare una società in cui sia più facile per ogni persona ricercare la felicità sviluppando i propri talenti in un contesto di pari opportunità. La casa di chi vuole mettere mano a tutti gli istituti economico-sociali – dal fisco alla scuola, dal welfare alle relazioni industriali, dall’assetto istituzionale all’urbanistica – che in questo Paese risalgono a mezzo secolo fa. Un’altra era geologica».

E allora guardiamo al futuro. Se sulla scheda comparisse anche l’indicazione del premier, quale modello preferisce: maggioritario a doppio turno, proporzionale con soglia e premio, o un “sindaco d’Italia” con ballottaggio nazionale? E perché?
«Ho sempre pensato che in Italia siano solo due le leggi elettorali che possano funzionare per eleggere il Parlamento. O un proporzionale puro con sbarramento e preferenze, o un doppio turno di collegio con ballottaggio tra i primi due. Sono due modelli opposti, ma hanno una cosa in comune: il cittadino torna a scegliere il proprio parlamentare. Invece in Italia si continua a voler fare ibridi tra questi due sistemi, che però ne sommano i difetti, anziché i pregi».

Qual è il meccanismo concreto per spezzare la tenaglia destra-sinistra della Seconda Repubblica senza condannare il centro riformista alla marginalità?
«C’è una cosa che non capisco. Dicono tutti che una terza opzione, distinta da destra e sinistra, è condannata all’irrilevanza. Eppure tutte le volte che si è presentata alle elezioni ha sempre avuto successo. Nel 2012 Monti prese il 9%; nel 2022 il Terzo Polo prese l’8%, che al nord era quasi il 15%. Per non parlare – andando su un fronte decisamente meno liberale- di quando il M5S si presentò da solo (nel 2013 e nel 2018) e prese il 25% e il 33%. Io temo che il mantra “al centro si è irrilevanti” sia ripetuto dagli alfieri del bipolarismo solo per esorcizzare il pericolo perchè sanno bene quanto sia fragile e inefficiente il sistema attuale».

Agenda economica: le novità annunciate da Giorgetti nel DL collegato alla legge di bilancio parlano davvero alla classe media? Cosa terrebbe e cosa cambierebbe?
«Come sempre aspetto i testi per giudicare. Ma come Partito Liberaldemocratico da mesi stiamo dicendo che se la nuova aliquota Irpef del 33% si ferma a 50.000 euro, è solo un simbolo: il beneficio massimo che darà sarà inferiore ad un caffè al giorno. Stiamo chiedendo di portarla fino a 60.000 euro, dando così un sollievo vero – ben dieci punti di taglio di aliquota – a quelli che chiamiamo i “muli da soma” di questo Paese: la classe media, che non beneficia di agevolazioni Isee o di detrazioni per tipologia di reddito, e sopporta oggi un’aliquota, il 43% più le addizionali locali, che nel resto del mondo, dove esiste, si applica a chi guadagna 3 o 4 volte tanto. Abbiamo anche detto dove trovare i soldi: evitino di fare due costosi e inutili spot pro-Salvini (l’anticipo dell’età pensionabile e le rottamazioni) e il gioco è fatto».

Quali priorità non negoziabili devono definire oggi una proposta liberale e riformista?
«Le stesse che ripetiamo da quando abbiamo fondato il partito. Uno Stato che fa meno cose ma in maniera eccellente, e che destina il conseguente risparmio ad un massiccio taglio delle tasse; una rivoluzione concorrenziale in tutti i settori; il ritorno al nucleare; una radicale riforma della scuola che liberi le energie represse e si basi su valutazione, autonomia e libertà».

Su Ucraina, Israele–Medio Oriente, rapporto con gli USA e con l’UE: può esistere una posizione liberale univoca e vincolante per il vostro campo? Dove tracciate la linea rossa rispetto a sovranismi e neutralismi?
«Saremo l’unica offerta politica che potrà esprimersi senza se e senza ma a favore delle società occidentali e delle democrazie liberali, quelle caratterizzate dal binomio inscindibile tra economia di mercato e democrazia politica, senza timore di avere un compagno di partito o di coalizione a smentirti il giorno dopo».

I partiti hanno cambiato pelle, perso visione e assunto spesso l’insegna personale del leader. Come si costruisce un’offerta che superi i personalismi “bottegai”? Primarie aperte, think tank o un partito leggero con contratti di legislatura misurabili?
«Sarò un ingenuo, ma penso che tutti abbiamo imparato dagli errori del passato. Serve generosità, e il progetto deve essere sempre messo un passo davanti le legittime ambizioni individuali e i fisiologici “ego”, anche quelli molto sviluppati. Ci devono essere leadership contendibili, ma anche lealtà e fiducia tra membri del gruppo dirigente. Io dico che stavolta ce la facciamo. E invito chiunque ci creda a venirci a dare una mano da protagonista».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.