Ho simpatia per Luigi Marattin. È competente, preciso nelle parole e nei toni, non è opportunista, anzi: ha coraggio e, sebbene qualcuno mi dica che abbia un caratteraccio, mi pare che lo amministri con educazione. Dunque, auguro al suo progetto federalista liberale ogni fortuna. La stessa che auguro a Andrea Marcucci, che invidio perché nacque liberale, quando io c’ho messo mezzo secolo per raggiungerlo. Però temo che la loro sfida, comunque feconda, non avrà il successo che merita, e rischia di generare un ulteriore cespuglio, nonostante le migliori intenzioni; per una ragione, una sola ma dura come la pietra: il campo riformista è occupato.

Il precedente

Nonostante che il risultato politico delle uniche elezioni in cui ci siamo presentati insieme, nel 2022, sia stato lusinghiero, già alle europee siamo andati divisi con un esito tragico, da cui Calenda e Renzi non hanno tratto la conclusione di ritentare la via dell’unità ma, all’opposto, Renzi ha dichiarato morto il terzo polo e senza alternative il “campo largo” a guida PD; Calenda traccheggia ma alla fine cercherà, temo, un accordo speciale sempre con il PD, come già tentò con Letta. Recidivi, alle regionali 2024 nella mia Emilia-Romagna, dove alle politiche 2022 avevamo riscosso l’8/9 %, siamo andati divisi e non abbiamo eletto nessuno.

L’assenza di spazio

Non credono nella creazione di un polo liberaldemocratico, ma non è che passino la mano, “provaci tu”, restano lì, occupano le caselle. Quindi, a meno che non entri in campo una ulteriore forza aggiuntiva, come l’area cattolica che sembra volersi dare una fisionomia ideale più forte e non più limitarsi ad una dorotea spartizione di posti, non vedo spazio per costruire un nuovo soggetto politico che rappresenti quel 10% almeno che è il peso certificato del potenziale “terzo polo”. Non lo vedo a Roma, al centro, dove tutto è bloccato. Ma lo vedo nelle città e nelle regioni, dove le prossime elezioni potrebbero essere l’occasione per creare formazioni liberaldemocratiche, che dipendano dalle energie del territorio e non dai leader nazionali con il loro seguito locale di seguaci.

Un nuovo polo riformista dal basso

Immagino un polo riformista che nasca, come si diceva una volta, “dal basso”. A questo sogno Marattin e Marcucci potrebbero fare un grande regalo: chiedersi se il nuovo partito che stanno costruendo non possa avere una anima federale non solo perché unisce in modo verticale anime diverse, ma anche perché mette insieme territori che sono i veri azionisti dell’organizzazione, leader cittadini e regionali che non debbano solo portare soldi, tessere e voti, e tanto meno cacicchi capaci solo di ostruzionismo, ma autentici capitani dell’innovazione economica, sociale, politica.

Mauro Felicori

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