«Inaspettatamente liscio», ha titolato il New York Times. La caratteristica più cospicua del Summit del G7 appena concluso a Borgo Egnazia sembra essere che si è svolto senza drammi. Differenza sostanziale con alcuni dei recenti vertici e abissale se si pensa agli ultimi due in era preistorica a guida del centrodestra italiano, quello del 2001 macchiato dalla morte di Carlo Giuliani e quello del 2009 dopo il terremoto in Abruzzo. Questi due riferimenti temporali e la loro drammaturgia ci aiutano a comprendere quanto il mondo sia cambiato e quanto anacronistico sia diventato questo formato.

Il summit di Genova avvenne al culmine del momento unipolare americano, due mesi prima dell’11 settembre. Una Russia ammansita veniva annoverata fra i G8 che potevano effettivamente ancora fregiarsi fra le economie più grandi del mondo. La tragedia di Giuliani ci ricorda anche come a differenza di oggi questi vertici coalizzassero le energie e le ire della galassia no-global. Nel 2009 il contagio finanziario americano aveva ormai infettato irrimediabilmente l’Europa e gli stessi leader che Berlusconi pavoneggiava fra le macerie dell’Aquila avrebbero poi finito per pugnalarlo due anni dopo. In un altro consesso, il G20, che sembrava aver soppiantato il G7 per poi sgonfiarsi a sua volta.

Il summit “liscio” del 2024 è soprattutto sintomo della sua irrilevanza. Si è parlato di intelligenza artificiale ed etica, ma senza i convitati di pietra che definiranno l’agenda di questa tecnologia sempre più teologia negli anni velocissimi che ci separano dalla sua maturazione. Un papa Francesco insieme a Elon Mask attorno a un tavolo sarebbe stata la vera notizia. Si è parlato di Africa, con impegni vaghi su Piano Mattei e i suoi fratelli transatlantici, la Global Gateway europea e l’americana Partnership for Global Infrastructure and Investment. La via della seta cinese come il proverbiale elefante nella stanza, che i nostri ritrovati amici africani sono troppo scaltri dall’abiurare.

Bicchiere pieno

Sulle guerre si è sbloccato il complesso dossier dei profitti sui beni immobilizzati russi da utilizzare a beneficio dell’Ucraina. Importante in quanto arma dell’arsenale di guerra finanziaria che l’Occidente ha dichiarato al Cremlino, ma in realtà prodotto di un lavoro di quasi due anni precedente ed estraneo al G7.
Si può descrivere il summit di Borgo Egnazia con il bicchiere pieno della ritrovata autorità dell’Italia, come vuole la roboante narrazione governativa. O con quello vuoto dell’opposizione che denuncia veti e ripicche sui diritti civili. Hanno entrambi ragione, purché siamo d’accordo che il liquido in questione sia il vino.
Con il resto dell’Occidente ci ubriachiamo di summit, compacts e patti per intorpidire l’ansia e il dolore della nostra decadenza. Ma il mondo disordinato di oggi si muove di quella che definirei piuttosto un’intelligenza organica.

Alla fine aveva ragione Thomas Hobbes

Gli attori più disparati occupano posizioni in modo entropico, trovando spazi di potere ovunque ci sia un vuoto, normativo o territoriale che sia. Per questo è impossibile trattare di cambiamento climatico o intelligenza artificiale senza il settore privato. Per questo è impossibile trattare di guerra senza alla fine fare i conti con i cattivi. Alla fine aveva ragione Thomas Hobbes e il suo “stato di natura”. Solo che invece di demonizzarlo come quello brutale e implacabile dell’homo homini lupus, dobbiamo cominciare a vederlo come il principio più efficiente di organizzazione globale. In gergo politologico si dice spesso che formati come il G7 vivano di “inerzia istituzionale”: il cimitero delle organizzazioni dovrebbe essere molto più popolato ma sembriamo preferire la compagnia degli zombie. Chissà se questi leader imbolsiti dai troppi viaggi e indeboliti dai tracolli elettorali non si augurino segretamente di ricevere il prossimo anno la visita del boia del multilateralismo globale: Donald Trump.

Fabrizio Tassinari

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