Il senatore Marco Lombardo, di Azione, si è sempre occupato di politiche europee e di temi legati alla sicurezza internazionale. A lui chiediamo un’analisi a tutto campo sull’Europa al voto e sulle prospettive del campo riformista.

Che Europa esce da queste elezioni?
«Dalle elezioni esce un’Europa più fragile dove il “Modello Ursula” farà fatica a sopravvivere alle pulsioni sovraniste dei conservatori e dei “patrioti”».

Orbàn che vola a Mosca, per il bacio della pantofola, segnala un problema. Non esiste una politica estera univoca per l’Europa.
«C’è un problema di assenza di una voce unica europea in politica estera, ma c’è anche un problema serio di bizantinismo istituzionale che non consente all’Unione europea di procedere lungo la strada dell’Unione politica. Viktor Orbán ha incontrato nei giorni scorsi Zelensky, in qualità di Presidente di turno del Consiglio dell’UE. Oggi ha incontrato Putin in qualità di Primo Ministro dell’Ungheria e non in rappresentanza dell’UE. E’ in questa contraddizione che non regge l’attuale Unione Europea con un conflitto istituzionale tra Commissione, Consiglio europeo e Presidenza di turno del consiglio dell’Ue. Proprio nel momento in cui il messaggio dovrebbe essere unico al livello europeo: la pace non può essere la resa dell’Ucraina, ma la fine dell’aggressione militare da parte della Russia. Se non si ripristina la forza del diritto internazionale esiste solo la legge del più forte».

In Uk c’è stata una vittoria importante del New Labour. La sinistra vince se rinuncia al radicalismo?
«Mi piacerebbe fosse così semplice, ma temo che la questione sia più complessa. Il New Labour vince perchè l’elettorato ha punito l’instabilità dei conservatori e la disastrosa gestione dei tories sul dopo-brexit. Negli ultimi 5 anni hanno cambiato più volte primo ministro di quanto non ne avessero fatti nei 25 anni precedenti. Keir Starmer si è fatto trovare pronto al momento giusto: incarna bene l’etica del lavoro, rassicura perché è un uomo pragmatico, senza perdersi in mirabolanti promesse di cambiamento. Rappresenta la normalizzazione della politica in un paese che non ha più grandi aspettative dalla politica. In italia diremmo che è un riformista, lontano dal radicalismo di Corbyn, ma lontano anni luce anche dal modello blairiano di leadership politica. Ora gli toccherà la sfida del governo, ricostruendo la Gran Bretagna mattone dopo mattone».

Si vota in Francia, domani. Che cos’è in gioco a Parigi, davvero la democrazia francese?
«Non è in gioco la democrazia in Francia; è in gioco il ruolo della Francia in Europa nei prossimi anni. La desistenza in Francia è obbligatoria, ma credo che la “coabitazione” tra primo ministro e Presidente sarà un indebolimento del ruolo della Francia nel processo di integrazione europea».

Veniamo a noi. Azione ha preso il 3,3%, mancando anche se non di molto il quorum. Lo ha mancato anche Italia Viva. Andare divisi è stato un errore?
«Non avendo raggiunto la soglia di sbarramento dobbiamo avere il coraggio di riconoscere che è stata una sconfitta. Azione ha puntato su candidati seri e su un programma chiaro, ma questo non è bastato: da un lato, perché il voto alle europee è stato fortemente polarizzato e, dall’altro, perché le preferenze in Europa sono legate alla popolarità dei candidati, non alla loro competenza. Io continuo a pensare che la strada più giusta fosse quella di andare insieme come Azione e +Europa. Difficile tenere insieme gli elettorati di Azione e Italia Viva dopo le lacerazione seguite al fallimento del Terzo Polo».

E’ chiaro per tutti che serve unità tra i riformisti. Macron ha il 20%, Libdem in Uk il 12,2%, in Germania Fdp ha l’11,9%. Voi avreste l’8% ma le lacerazioni pesano. E impediscono di vincere. Come si mette fine alla diatriba ?
«Non pensando al comodo alibi per cui la colpa sta nei leader dei partiti e basti cambiare quelli per avere costruito l’unità dei riformisti. E’ un percorso molto difficile e complesso che richiede tempo, visione e generosità».

Qual è il percorso che vede per Azione ? Congresso, costituente, primarie aperte ?
«C’è una direzione nazionale convocata per il 13 luglio in cui il Segretario esporrà la sua linea sulla base del mandato ricevuto dall’assemblea nazionale. Siamo un partito-comunità ed il percorso lo decidono gli organi interni, non gli appelli che strizzano l’occhio all’elettorato o presunti federatori esterni».

Il niet di Calenda a Schlein sul centrosinistra è definitivo? Azione rimarrà da sola, fuori dal centrosinistra e dal centrodestra ?
«Il niet non mi pare alla Schlein ma al “campo largo” o meglio all’idea che l’unico collante in grado di tenere insieme opposizioni così diverse, sia l’argine contro la destra. Questo significherebbe rassegnarsi a consegnare il Paese alla Meloni per altri dieci anni. E’ lo stesso schema della sinistra antiberlusconiana che ha fatto governare Berlusconi per quasi 20 anni nel nostro Paese. Per costruire l’alternativa a questo governo le opposizioni non devono essere solo unite contro la Meloni, ma devono costruire l’unità sulle proposte, a partire dalla difesa della Costituzione, dalla sanità, dall’istruzione, dal lavoro e dall’economia. Senza un perno solido riformista non ci può essere alternativa credibile a questo governo di destra-centro».

Si vota in autunno anche nella sua Emilia-Romagna. Lei e voi di Azione come vi muoverete?
«Al momento i nomi più accreditati dei possibili candidati per il centrosinistra mi sembrano due figure di qualità come Colla e De Pascale. Al di là dei nomi, a noi interessa il progetto di Governo della Regione. Il mio impegno sarà quello di lavorare per l’unità dei riformisti che è nello spirito e nella tradizione dell’Emilia-Romagna».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.