Esattamente due anni fa, il 16 giugno del 2022, i tre coraggiosi viaggiatori del treno per Kiev portavano la speranza tra i combattenti ucraini. A due anni di distanza, l’8 e 9 giugno, uno dei tre ha perso la possibilità di essere nominato Presidente della prossima Commissione europea, un altro è arrivato terzo in patria ed è difficile immaginare che possa riprendersi, mentre il più ambizioso dei tre, che si era collocato al centro dell’Europa immaginandone un ambizioso scatto in avanti, è costretto a rischiare l’osso del collo portando la Francia alle elezioni legislative tra meno di un mese. Tre profili riformisti – per storia, cultura, formazione, vocazione – archiviati dal voto, che in molte parti d’Europa ha premiato forze portatrici di variopinte visioni estreme, radicali, tendenzialmente antisistema.

Verrebbe da dire che è andata meglio in Italia, dove almeno il grosso dei consensi è andato a due forze saldamente incardinate nel sistema, trainate da giovani leader che con furbizia hanno incanalato la voglia di messaggi semplici degli elettori nello schema finto della bipolarizzazione, liberando così i rispettivi campi da gioco dagli avversari interni.E, già che si trovavano, spartendosi anche le spoglie dei duellanti di centro, entrambi finiti ieri gioiosamente suicidi.

Chi vota ha sempre ragione

Dovremmo concludere che hanno avuto torto gli elettori, che si sono fatti beffe di cotanto personale politico più o meno in tutto il continente? Tutt’altro, e non (solo) perché chi vota ha sempre ragione, in democrazia. Ma perché i difetti storici del riformismo li conosciamo: si chiamano elitismo, freddezza, velleitarismo. Caratteristiche in passato associate a serietà, professionalità, competenza, ma oggi semplicemente distanti dal sentire comune della gente, che ha bisogno di toccare con mano un riformismo empatico, compassionevole e popolare.

Come quello espresso – per capirci – da tanti bravi amministratori locali, protagonisti di questo voto, nel Pd come in altri partiti, a suon di centinaia di migliaia di preferenze. Saranno i territori il serbatoio di nuove, necessarie leadership, questa al momento è l’unica certezza che abbiamo. I riformisti devono ripartire da lì, dove la politica trova la sua più verace ragion d’essere.