«È un gioco sottile, complesso, incerto». L’accademico francese Yves Mény, dal 2014 al 2018 presidente del Consiglio di amministrazione della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – funzione nella quale è succeduto a Giuliano Amato – e autore di diversi saggi di approfondimento politico – fra i quali citiamo almeno Popolo ma non troppo. Il malinteso democratico (2019), Ariele (2022), Sulla legittimità. Credenze, ubbidienza, resistenze (2024) e Le vie della democrazia (2024), pubblicati in Italia da Il Mulino – commenta la nomina, decisa dal presidente francese Emmanuel Macron, di Sébastien Lecornu al posto del dimissionario François Bayrou nel ruolo di primo ministro.

Professor Mény, Sébastien Lecornu nuovo premier francese. Cosa ne pensa della scelta di Macron? Potrebbe garantire una maggiore stabilità di governo?

«Si tratta di una scommessa, niente di sicuro. Forse il principale elemento che potrebbe far pensare a un sostegno da parte dei socialisti – pur senza una loro diretta partecipazione al governo – è che non vogliono apparire come i fautori della caduta del nuovo governo. Si trovano in una situazione d’impasse, per quanto riguarda le future elezioni. Buona parte del partito non è ben disposto verso una possibile alleanza con Mélenchon. L’unica via che rimane sarebbe rafforzare i legami con il cosiddetto blocco centrale, importante ma minoritario: un passaggio difficile, in quanto hanno sempre rifiutato i compromessi con la destra. Vedremo».

Cosa si potrebbe dire, invece, per quanto concerne il partito di Marine Le Pen?

«Rassemblement National entra in un orizzonte di elezioni sia locali – nella primavera del 2026 – sia presidenziali: ciò spinge il partito a mantenere un’aura di rispettabilità governativa, nonostante la base auspichi una crisi che possa obbligare Macron a rassegnare le proprie dimissioni. La trovo un’ipotesi poco credibile. Infine, se Lecornu riuscisse a costituire un governo solido, avrebbe la piena fiducia del presidente».

Un clima ben diverso rispetto all’investitura di Bayrou?

«Sì. Bayrou faceva parte della maggioranza dal 2017 ma forzò la mano a Macron al fine di essere nominato primo ministro, alienandogli il proprio appoggio verso soluzioni alternative».

Come potrebbe Lecornu intavolare convergenze con i socialisti?

«Ha già fatto delle proposte in tal senso. Ha annunciato un governo di rottura – che, nelle intenzioni, dovrà essere più di sostanza che di forma – che potrebbe rimettere in discussione la riforma delle pensioni, non nei suoi assunti basilari, ma concedendo maggiore flessibilità nei riguardi di lavoratori che hanno cominciato molto giovani o nei casi di lavoro usurante. La carta vincente del nuovo premier è riconducibile a un’opinione pubblica estenuata da tanta instabilità».

È stato lo stesso premier dimissionario Bayrou a chiedere il voto di fiducia. Quali motivazioni potrebbero averlo spinto a compiere tale passo?

«Vi sono due possibili spiegazioni. La prima (nella quale non credo) rifletterebbe la sua consapevolezza riguardo la crisi finanziaria – nella fattispecie, l’eccesso di debito pubblico – che lo avrebbe portato a dipingere un quadro molto fosco della situazione francese. I mercati, infatti, si rivelano al contrario abbastanza tranquilli, in quanto, storicamente, la Francia non si è mai tirata indietro nel ripagare il proprio debito: non ha mai rappresentato un fattore di rischio per possibili investitori. In secondo luogo – molto probabilmente – Bayrou potrebbe essersi reso conto di non poter contare sul sostegno di cui avrebbe avuto bisogno per le misure che avrebbe dovuto adottare in campo economico».

Il leader de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon, chiede anche a Macron di fare un passo indietro. Potrebbe accadere?

«I due partiti estremisti – Rassemblement National e La France Insoumise – hanno chiesto le dimissioni di Macron, ma Mélenchon lo fa con maggiore veemenza. Il suo partito ha presentato addirittura una mozione avente come finalità le dimissioni del presidente. A mio avviso, essa non avrà alcuna possibilità di passare. Si tratta, tuttavia, di un tentativo rivolto alle piazze e finalizzato a spingere Macron a dimettersi. Mélenchon si richiama alla storia francese, all’ideale radicale e rivoluzionario, rivendica di parlare a nome del popolo, più che del proprio partito: il popolo, tuttavia, è una realtà ben composita e strutturata. Credo che non vi sarà possibilità di dimissioni da parte del presidente, a meno che la situazione non diventi oltremodo drammatica».