Per il post alluvione
Meloni (che prima si oppose) ora sceglie Figliuolo, l’uomo di Mario Draghi
Il Generale è il Commissario straordinario per l’Emilia Romagna, quando FdI era all’opposizione si opposero alla sua nomina
Ci sono cariche di nomina politica che per definizione sono a scadenza, perché fiduciarie del governo in carica. Non è una novità dunque lo spoil system, sebbene qualcuno gridi all’occupazione della cosa pubblica quando a farle non è più la sua parte. Se si voleva evitare, si poteva cambiare la legge, finché si era maggioranza. Ma non lo si è fatto, nella presunzione che se a fare quelle nomine è la “propria” parte, allora sono sempre fatte «per conto di Dio, e del bene comune». Siamo convinti che il governatore dell’Emilia Romagna Bonaccini sarebbe stato un ottimo commissario alla ricostruzione. Perché insieme ai sindaci romagnoli e al presidente della provincia di Reggio Emilia De Pascale, è un politico pragmatico e un amministratore coraggioso. E invece per il post alluvione il governo di centrodestra, guidato dall’unico partito che era all’opposizione del governo Draghi, ha scelto l’uomo di Draghi.
O meglio: quello che il presidente del consiglio aveva scelto per mettere fine all’era Arcuri. Una delle ragioni che portò alla caduta del governo Conte due, proprio per porre fine alla gestione promozionale del commissariamento covid. Quando con i vaccini in frigorifero il commissario pensava a costruire le primule come hub vaccinali per celebrare la presunta magnificenza del governo Conte, anziché, come fece poi il commissario Figliuolo, aprire in silenzio le palestre del Paese al 90 % degli italiani. Fu quel passaggio che ha consentito all’Italia di uscire dall’emergenza: al posto del plenipotenziario che si occupava di investimenti, banche, imprese decotte, Ilva, villaggi turistici, Bagnoli, mascherine e tamponi, e che voleva realizzare il vaccino nazionale Reitera (l’unico che se lo fece iniettare fu Gianrico Carofiglio), mise il militare dalle conquiste silenziose.
L’unico atto di vanità di Figliuolo è aver scritto un libro con Severgnini, ma «l’ho fatto per parlare degli alpini, e dell’Italia che ce l’ha fatta». Scritto quando ce l’abbiamo fatta davvero, e non come quello di Roberto Speranza «Perché Guariremo» pubblicato e poi ritirato perché scritto prima che scoppiasse la seconda ondata. Figliuolo è nato a Potenza nel 1961, dove ha frequentato le scuole sino al liceo classico. Poi l’Accademia militare a Modena e la scuola d’applicazione a Torino, dove è rimasto a vivere con la famiglia. Ha tre lauree: in Scienze Politiche presso l’Università di Salerno, in Scienze Strategiche presso l’Università di Torino e in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Università di Trieste. Ufficiale di artiglieria da montagna, svolge le primissime esperienze di comando presso il Gruppo Artiglieria “AOSTA” a Saluzzo (può dire di aver fatto il militare a Cuneo!).
Si fa notare durante l’esperienza internazionale come Comandante del Contingente nazionale in Afghanistan, nell’ambito dell’operazione ISAF, e quella diciannovesimo Comandante delle Forze NATO in Kosovo, nella stessa area di crisi balcanica che lo aveva già visto impegnato agli inizi degli anni 2000, quale Comandante della Task Force “Istrice” in Goradzevac e, precedentemente, nel ’99, nell’ambito dell’organizzazione logistica del Comando NATO-SFOR in Sarajevo.
All’inizio della pandemia il Comando Logistico da lui guidato era stato incaricato «dell’identificazione e gestione delle risorse umane e materiali da mettere in campo nel contrasto alla pandemia».
Figliuolo si era occupato del rientro degli italiani che si trovavano a Wuhan. Aveva gestito l’operazione “IGEA”, per realizzare 200 drive through per fare i tamponi in auto. Aveva contribuito all’allestimento di due centri dedicati ai pazienti contagiati dal coronavirus, quello di Roma nel policlinico militare del Celio, e quello dell’ospedale militare di Milano.
Tutto senza conferenze stampa, e senza dare a chi lo criticava del «liberista da divano con il cocktail in mano».
Figliuolo fu scelto come commissario da Draghi, che oltre a individuare l’uomo in grado di portare l’Italia fuori dal covid, pose fine all’era decennale del potere Arcuri. L’unica a criticarlo fu Giorgia Meloni, insieme al suo partito. Oggi lo richiama, consapevole che il profilo giusto per uscirsene dal pasticcio politico in cui si è cacciata per non aver voluto nominare Bonaccini, che ha la colpa di essere del Pd. Passare prima dal «scusate, ci eravamo sbagliati» è mossa di eleganza, non richiesta quando la scelta fatta e il ruolo ricoperto superano la polemica politica. Buon lavoro Generale, oggi l’Italia è davvero tutta con te!
© Riproduzione riservata






