«Siamo degli sfollati, senza casa e senza macchina: verremo indennizzati (forse) e non sappiamo quando avremo a disposizione un contributo economico che varierà da 3 a 5mila euro per fronteggiare le spese di prima necessità, per riorganizzare le nostre vite: pensate possa bastarci?». Le domande retoriche che ci pone Michele sono un punto interrogativo grande quanto il condominio di Forlì da cui è stato evacuato un mese fa, in quella notte tragica tra il 16-17 maggio in cui la gente saliva sui tetti e gridava aiuto mentre c’era chi provava a salvarsi a nuoto, chi saltando sui gommoni dei soccorsi, chi implorando di essere caricato su un elicottero.

Trenta giorni dopo il disastro, in Romagna l’emergenza non è finita. Soprattutto nei centri abitati più colpiti: Forlì, Faenza, i comuni della provincia ravennate. E nei comuni dell’Appennino, letteralmente devastati dalle frane con centinaia di strade chiuse, molte a circolazione limitata e centri abitati quasi irraggiungibili. Intere comunità che rischiano di sparire e con esse un pezzo di storia di questa fetta di montagna a cavallo tra Romagna e Toscana.

Si sono spenti i riflettori dei grandi mezzi di informazione, ma restano spenti anche i lampadari di molte abitazioni della Romagna alluvionata: semplicemente perché ancora la corrente elettrica non è stata ripristinata o le case sono ancora inagibili. «Mentre siamo qui a continuare a pulire a cercare di rifarci una vita – ci dice Erica, da Faenza – non facciamo più notizia per i telegiornali e anche l’attenzione della politica sembra già lontana dal nostro dramma».

Difficile trovare parole di conforto. Negli stessi giorni in cui tra i partiti infuria la polemica sul ricordo di Berlusconi e sulla riforma della giustizia, nelle zone colpite dall’alluvione i nervi sono a fior di pelle per altre ragioni: l’incertezza sull’arrivo degli indennizzi, la mancanza di risposte alle migliaia di famiglie che sono senza casa, i tanti scantinati ancora pieni di acqua e fango. In questo clima di forte tensione, anche il passaggio della mitica ‘Mille Miglia’ sulle strade che solo pochi giorni prima erano rese impraticabili dalle piene fluviali, diventa oggetto di polemica.

«Siete lontani mille miglia dai problemi della gente», recita uno striscione affisso lungo il tracciato. Le contestazioni finiscono direttamente sulle scrivanie dei sindaci, la prima linea dello Stato a cui i cittadini e le imprese danneggiate si rivolgono per ogni cosa. Spesso, però, le domande poste non possono trovare risposta negli uffici comunali. Ecco perché in coro tutti gli amministratori hanno chiesto al ‘tavolo’ riunito dal Governo a Palazzo Chigi sotto la guida del ministro Musumeci, che venga nominato in fretta un Commissario straordinario.
«Nella scorsa riunione ci era stata chiesta la quantificazione dei danni prima della nomina del commissario. La Regione ha raccolto tutti i dati di Province, Comuni ed enti privati. Fatto questo, l’operatività può essere resa solo dal commissario alla ricostruzione – sottolineano Michele De Pascale ed Enzo Lattuca, presidenti rispettivamente delle province di Ravenna e Forlì-Cesena – i tre presidenti di Regione sono le figure principali a cui affidarsi. Se il governo ha idee diverse si prenda la responsabilità e decida».

Ormai non sperano più nella nomina del presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che sarebbe stato il naturale candidato a quel ruolo se non altro per conoscenza del territorio, degli amministratori e apprezzamento trasversale. A favore di Bonaccini, infatti, si era schierato anche il sindaco di Forlì, Gian Luca Zattini, unico sindaco di capoluogo espressione di una maggioranza di centrodestra. Ma è impossibile che Giorgia Meloni retroceda dal suo intendimento di non ricorrere all’esperienza e alla competenza di Bonaccini; e allora che sia il favoritissimo Galeazzo Bignami o qualcun altro, un commissario va comunque individuato in tempi brevi.

Perché il lavoro da fare è tanto e benché sia già passato un mese, qui in Romagna la gente ha visto arrivare in visita quasi tutti i ministri, il presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, e persino la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen; ma un euro che sia uno ancora non si è visto. «Abbiamo chiaro il percorso – ci dice Edoardo, altro alluvionato della bassa ravennate – dobbiamo farci fare le perizie, saranno necessari interventi per rimettere in sicurezza le nostre case, vere e proprie ristrutturazioni con imprese edili, idraulici, elettricisti e muratori, per sostituire i pavimenti, impianti e serramenti. Chi pagherà tutto questo? Ce la faremo da soli?». Mettersi nei panni di questa gente che da un giorno all’altro si è vista scivolare via i sacrifici e i ricordi di una vita con la piena dei fiumi tutta, è un esercizio che tutti dovrebbero fare oggi più di ieri. E forse comprendere che un commissario straordinario che acceleri le procedure e l’erogazione degli aiuti è fondamentale.

Nel frattempo, poi, cresce la paura per l’autunno che di fatto è già alle porte: mancano 3 mesi e poi si tornerà nella stagione che normalmente è quella delle piogge, con un territorio reso più vulnerabile di prima. Lo hanno dimostrato i temporali dei giorni successivi all’alluvione: sono bastati due acquazzoni per tornare ad allagare strade, scantinati e proprietà. Il presidente Bonaccini ha detto che servono interventi urgenti di messa in sicurezza di argini, reticoli e strade per 1,8 miliardi di euro; la replica del ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, è stata sibillina: «Il Governo non è un bancomat». Una settimana prima la premier Meloni aveva annunciato che l’obiettivo del governo è arrivare a “indennizzi del 100%”. I romagnoli, da persone pragmatiche, cominciano a farsi due conti e la sintesi ce la fa Stefano Valmori, coordinatore del quartiere Romiti, uno dei più colpiti a Forlì: «Ci basta sapere se, quanto e quando arriverà qualcosa: poi al resto penseremo da soli».

Marco Di Maio

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