Il post-emergenza
Emilia Romagna, dopo l’alluvione servono subito mezzi, uomini e risorse
La regione alle prese con la gestione del post emergenza. Ai cittadini, impegnati a lottare con il fango ormai prossimo a divenire cemento, importa poco del dibattito, tutto politico, sulla nomina del commissario

Mezzi, uomini, risorse: nella Romagna alle prese con la lotta nel fango ormai prossimo a diventare cemento, servono rinforzi. Nel giorno in cui si sono celebrati i funerali di alcune delle vittime del cataclisma, i problemi sono molteplici e le soluzioni non tutte a portata di mano. È passata una settimana e mezzo dall’inizio dell’emergenza e la situazione sul territorio romagnolo colpito da questa calamità senza precedenti in Italia (in poche ore sono cadute la metà delle piogge di un anno intero), è molto diversificata.
Ad esempio, quello che ha potuto vedere giovedì pomeriggio a Cesena la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è una città avviata verso un rientro alla normalità. Cesena è riuscita a superare la gran parte delle criticità a cui doveva far fronte e a ripulire dai rifiuti molte strade. Non è ancora ancora tutto a posto, ma l’obiettivo è vicino e il tenace sindaco Enzo Lattuca aggiorna passo dopo passo sulle vie che vengono ripulite, il numero di mezzi impiegati, la programmazione prevista. Va detto che un evento come quello organizzato per la numero uno europea, in altre zone della Romagna non sarebbe stato possibile. O meglio, non certo con il tenore che ha potuto avere a Cesena con la sfilata di esponenti politici e notabili locali, abbracci, strette di mano, sorrisi e qualche assaggio di piadina.
Von der Leyen ha lasciato Cesena con l’importante promessa di aiuti, il tipico incoraggiamento romagnolo (“tin bota”, che assume un sapore internazionale con l’accento tedesco della presidente UE) e senza incontrare in forma ristretta i sindaci presenti, che pure qualcosa da dirle lo avrebbero avuto. Sulla crisi in corso e sull’impatto che essa avrà sull’attuazione dei progetti legati al PNRR. Sarà per un’altra volta, forse. Resta l’enorme significato di questa visita, che è anche un’assunzione di responsabilità.
È diversa la situazione di Forlì, che presenta un’area colpita dalle inondazioni e una popolazione coinvolta molto più grandi. Ci sono ancora interi quartieri che lungo le strade mostravano grandi cataste di mobili, rifiuti e oggetti di ogni tipo. Sono il frutto dell’immane e doloroso lavoro svolto dalle famiglie alluvionate, costrette a svuotare le stanze, buttare ricordi, pezzi pregiati, doni, investimenti. In alcuni edifici è a rischio persino la tenuta dell’immobile (per questo sono state ordinate delle evacuazioni). Per rimuovere quei pezzi di vita gettati sulle strade e da giorni fermi lì a imputridirsi e a rendere – in alcuni punti – l’aria nauseabonda, servono i mezzi. I in particolare i camion dotati di “ragno” per raccogliere il materiale. Se ne trovano pochissimi, l’emergenza coinvolge un territorio molto vasto e la coperta è sempre corta. E poi c’è un fatto: a Forlì e dintorni la raccolta dei rifiuti è affidata ad una municipalizzata, Alea, formata da 13 Comuni che negli anni scorsi hanno deciso di uscire dal colosso Hera e mettersi “in proprio”. Una scelta che in tempi ordinari non ha dato problemi, ma che durante questa emergenza ha fatto evidenziare l’ovvia inferiorità di mezzi. Per reperire i veicoli che servono, si ricorre ad appelli, amicizie, contatti in tutta Italia. E qualcosa si sta muovendo.
Tra i cittadini, nel frattempo, montano rabbia e protesta: tanti lamentano mancanza di coordinamento tra le istituzioni e con la Protezione civile. E c’è chi, come sempre, politicamente cerca di cavalcare la tigre del malcontento per trarne un beneficio.
Ancora diversa è la situazione della città di Ravenna, che dopo aver salvato il centro storico grazie alla generosità degli agricoltori che hanno acconsentito ad allagare i propri terreni pur di preservare il cuore della città, presenta ancora zone in crisi.
Ma soffrire di più, nel Ravennate, sono soprattutto i comuni limitrofi al capoluogo e sulle colline. In tutta la provincia sono oltre 14mila gli sfollati. La situazione più grave è a Conselice, un Comune che è diventato un enorme stagno d’acqua con rischi per la salute delle persone. Allarme che si è ingiustificatamente esteso a tutta la Romagna facendo esplodere le richieste di vaccinazioni contro il tetano.
Poi c’è un’altra Romagna. Quella di Rimini, solo lambita dall’alluvione: qui si guarda già all’estate e si moltiplicano comunicati, campagne e iniziative per far sapere al mondo che le spiagge della Riviera sono aperte e pronte ad accogliere i turisti. E sicuramente arriveranno a decine di milioni anche quest’anno.
In pochi, però, parlano della situazione sugli Appennini. Ci sono ancora zone isolate, difficoltà negli spostamenti e centinaia di frane che hanno cambiato radicalmente la morfologia di quelle zone. Comunità che rischiano di non rialzarsi, perdere attività economiche, spopolarsi ulteriormente. I sindaci e i cittadini dei comuni collinari da giorni provano a non far scendere l’attenzione dei media: risanare quelle terre richiederà anni, ma bisogna partire subito. Qui il dibattito su chi sarà il commissario all’emergenza appassiona poco: la gente vuole sapere quando arriveranno i primi risarcimenti. Chi è in grado di dirglielo, si faccia avanti. Presto.
© Riproduzione riservata