La riforma Cartabia è appena entrata in vigore da tre giorni e già si scatena la penna di Marco Travaglio con immagini truculente che paiono confondere la certezza della pena con la certezza del carcere. E intanto anche l’ex procuratore Giancarlo Caselli inaugura il 2023 con un’intera pagina sulla Stampa per mettere in guardia governo e Parlamento dal dare seguito all’ordine del giorno del deputato Enrico Costa, che ha osato mettere in discussione la “spazzacorrotti” dell’ex ministro Bonafede sul problema della prescrizione. In sintesi, è un po’ come se i pensieri che ruotano intorno al mondo del Movimento cinque stelle fossero fissati su due concetti: processi eterni in modo che nessuno sfugga alla tenaglia giustizia/persecuzione, e carceri il più possibile piene fino allo straripamento.

È evidente che il percorso tracciato dall’ex ministra Marta Cartabia, cui il nuovo guardasigilli Carlo Nordio ha già dichiarato voler dare continuità, va nella direzione opposta. E se la prima, per esempio sulla prescrizione, ha dovuto trovare una mediazione tra l’orrore della norma voluta dai grillini e il proprio progetto riformatore all’interno di un governo che conteneva in pancia tutto e il suo contrario, il secondo, almeno su questo punto, ha un tracciato già aperto. Perché il governo di centrodestra ha dato il proprio consenso all’ordine del giorno del deputato di Azione, in modo che sulla prescrizione si scavalchi di peso la legge “spazzacorrotti” entrata in vigore il primo gennaio di due anni fa, che bloccava alla sentenza di primo grado, anche se di assoluzione, la possibilità della rinuncia dello Stato a perseguire il reato quando è trascorso troppo tempo.

Perché, come ci spiega anche l’ex procuratore Caselli sulla Stampa, oltre al problema dei costi economici, «…del reato si è persa la memoria, le prove sono ormai difficili, se non impossibili da trovare, e si presume che la persona da processare possa essere cambiata». Impeccabile. Manca solo un accenno, che ci saremmo aspettati da parte di un devoto, alla sofferenza umana, vera tortura, che lo stesso processo, oltre al carcere, riversa sulla persona-imputato. Anche quella andrebbe sempre messa in conto. Due sono gli argomenti che stanno a cuore al dottor Caselli. Uno di ordine statistico, perché a quanto pare (gli crediamo, si sarà sicuramente documentato) la percentuale italiana di prescrizione sarebbe arrivata al 10/11% contro lo 0,1/2% degli altri Paesi europei. Questo è il primo argomento. Il secondo è di tipo socio-politico. Perché, secondo l’ex procuratore, la prescrizione gioverebbe solo ai “galantuomini”, cioè ai ricchi potenti e “agguerriti”, mentre per i “cittadini comuni” ci sarebbe una seconda giustizia, che sbrigativamente arriverebbe a conclusione. Siamo alle solite. Non una parola sul perché e quando i processi cadono a terra come frutti maturi.

Per stare ai numeri e alle statistiche, tra il 60 e il 70% dei casi capita nella fase delle indagini preliminari, cioè nel regno del dominio incontrastato dei pubblici ministeri. E qui i casi sono due: o i nostri investigatori sono pigri e incapaci o il problema risiede nell’assurdità, oltre a tutto ipocrita, della pretesa di applicare il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Non viene il dubbio che sia proprio questo il motivo dell’unicità del caso italiano con le sue percentuali diverse rispetto agli altri Paesi, come per esempio quelli di common law? Questa è infatti la prima grande riforma da fare, prima o in contemporanea alla separazione delle carriere. È inutile fare gli schifiltosi, non si può avere la pretesa di perseguire tutti i reati, e soprattutto le fattispecie andrebbero diminuite, non aumentate.

Da questo punto di vista la riforma Cartabia appena entrata in vigore ha aperto una strada importante di deflazione sia processuale che detentiva. Ed è inutile versare lacrime sulle condizioni delle carceri e sul sovraffollamento, se non si comincia ad arrestare di meno. E a togliersi dalla mente che la sanzione sia solo la privazione totale della libertà. Utilissima da questo punto di vista la possibilità per il giudice di applicare le forme alternative alle prigioni per condanne inferiori a quattro anni: semilibertà, detenzione domiciliare, lavori socialmente utili, pena pecuniaria. Così come l’estensione dei tipi di reato procedibili a querela della persona offesa e non d’ufficio.

Anche in questo modo si potrebbe diminuire il numero dei processi e anche dei casi di prescrizione del reato. E si favorirebbero le azioni di risarcimento del danno e di quella giustizia riparativa che tanto stava a cuore alla ministra Cartabia. Sono le norme che Travaglio chiama “schiforme” e l’ex procuratore Caselli considera “di classe”, nel senso che sfavorirebbero il mitico cittadino comune. Che invece sarebbe quello più avvantaggiato dal percorso. Quel che serve adesso è che il nuovo governo di centrodestra, guidato dall’ottimo ministro Nordio, mantenga la barra dritta senza farsi tentare da controproducenti tentazioni di correzioni giustizialiste nel nome della sicurezza.

Avatar photo

Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.