Non se lo aspettavano, che dal bozzolo sarebbe uscita la farfalla. Nella prima riunione del Consiglio di ministri, il neo-guardasigilli Carlo Nordio pareva chiuso in se stesso, passivo, mentre si decidevano cose -il rinvio della riforma Cartabia, il peggioramento della norma sull’ergastolo ostativo, un decreto frettoloso e male scritto sui rave party– che rappresentavano il contrario di quel che lui negli anni aveva detto e scritto.

Si erano rilassati, dalle toghe militanti fino all’avvocato del popolo che sta girando l’Italia, soprattutto del sud, per difendere lo stipendio di Stato a chi non lavora, e anche il suo quotidiano di partito. Ma è stata sufficiente un’audizione in commissione Giustizia del Senato perché saltasse per aria il tavolo del conformismo giudiziario, appiattito da trent’anni sulla sub-cultura di Mani Pulite, nonostante gli sforzi di tanti ministri, ultima Marta Cartabia. Dal bozzolo in cui stava rinchiusa quel 31 ottobre è uscita poco più di un mese dopo la farfalla-Nordio con il suo programma, i suoi cavalli di battaglia, la sua storia. E pareva stesse leggendo uno dei suoi libri, uno dei suoi tanti articoli. Non ha ceduto su nulla. Ha evocato lo spirito di Vassalli e la sua riforma del processo del 1989 con l’introduzione del sistema “tendenzialmente” accusatorio.

Ma ha anche annunciato implicitamente che quell’avverbio che aveva denotato un coraggio a metà, andrebbe abolito per sposare il sistema del common law, che prevede la discrezionalità dell’azione penale e la separazione delle carriere fino a portare il pubblico ministero fuori dallo stesso alveo della magistratura. Il giudice e il pm svolgono ruoli diversi, ha detto il guardasigilli, e non possono percorrere la medesima carriera. Facendo insorgere non solo il sindacato delle toghe, ma anche ex procuratori considerati mostri sacri come Giancarlo Caselli e Armando Spataro. Con argomenti, spiace dirlo, molto banali oltre che scontati e un po’ bugiardi. Come si fa infatti a parlare ancora di “cultura della giurisdizione” del pm, dopo i metodi usati dalla Procura di Milano nelle inchieste di Tangentopoli ma anche nel recente processo Eni, o quelle di Nicola Gratteri in Calabria? E vogliamo parlare dell’obbligo per legge del pm di raccogliere anche le prove a favore dell’indagato?

Naturalmente il ministro sa bene che questo tipo di riforma, di rilievo costituzionale, può essere solo un programma di legislatura, per i tempi tecnici necessari per cambiare la legge delle leggi. Alla Camera sono già pronte le proposte di partiti di governo sulla separazione delle carriere. Ma intanto sarà il lavoro quotidiano della formichina a decidere se davvero quella di Carlo Nordio, prima di arrivare alla rivoluzione copernicana da lui (e da noi) auspicata, sarà la svolta della giustizia che il Presidente delle Camere Penali Giandomenico Caiazza già vede come l’apertura di una “nuova stagione dopo le storture viste in questi decenni”. La custodia cautelare, non solo in carcere, prima di tutto. E la disciplina sulle intercettazioni con la loro divulgazione, quella che ha fatto venire l’orticaria ieri al sindacato dei magistrati, che si è sentito chiamato in causa da quella battuta su ispezioni ministeriali contro “ogni diffusione impropria”.

È vero, come ha ricordato con tono saputello l’Anm, cha esiste già una riforma del 2017 che dovrebbe preservarne la riservatezza, ma è ancor più sacrosanto il fatto che gli atti giudiziari, soprattutto quando riguardano il mondo della politica, sono dei veri colabrodo. E sono armi micidiali contro il principio di non colpevolezza dell’indagato e la sua reputazione. E il pm, che dovrebbe essere il custode sacro della segretezza degli atti, non ne risponde mai quando questa viene violata. E non bisogna dimenticare la necessità di scindere anche la complicità tra magistrati, forze dell’ordine e giornalisti. Ma c’è tutta una lunga meticolosa attività quotidiana di formichina che il ministro di Giustizia, e con lui il Parlamento, può avviare per poi giungere alla rivoluzione copernicana.

Due giorni fa nel pomeriggio per esempio, nella stessa giornata in cui i senatori avevano interloquito al mattino con il guardasigilli, la commissione Giustizia di Palazzo Madama aveva approvato un emendamento del capogruppo di Forza Italia Pierantonio Zanettin di modifica della legge “spazzacorrotti” voluta dal ministro grillino Bonafede. Un emendamento che ha sottratto i reati contro la Pubblica amministrazione all’elenco di quelli “ostativi”, che impediscono la possibilità di accedere ai benefici penitenziari, come accade per la mafia e il terrorismo. Un tentativo già portato avanti in aula nella scorsa legislatura, ma con poca fortuna, dal deputato di più Europa Riccardo Magi.

Un passo in avanti, per il ripristino della civiltà giuridica, votato anche dal senatore Ivan Scalfarotto di Italia Viva. Naturalmente ci sarà da fare i conti con le contraddizioni sempre più convulse degli esponenti del Pd. Che si sono astenuti, ma che hanno già fatto sapere, dalla voce della responsabile giustizia Rossomando, che faranno rientrare negli ostativi l’aggravante associativa. Con il risultato (possibile non lo capiscano?) che il reato associativo sarà contestato più spesso. O qualcuno crede ancora a Babbo natale e all’innocenza di certi pm?

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.