La riforma populista della prescrizione è stata senza dubbio una delle pagine più indecorose della legislazione nostrana degli ultimi decenni. Per più ragioni, naturalmente, ma una su tutte: la grossolana mistificazione politico-mediatica che l’ha accompagnata dal primo giorno. Da molti anni ormai in questo Paese si fanno sempre più eccezionali le prescrizioni di reati anche solo di media gravità.

Da un lato, le varie riforme che si sono susseguite hanno innalzato a livelli iperbolici (che andrebbero essi sì ripensati!) il numero di anni entro i quali i reati si prescrivono, con la eccezione di un pugno di reati bagatellari (soprattutto contravvenzionali) e dei reati tributari, i quali ultimi obiettivamente emergono solo con l’accertamento amministrativo, che brucia già metà del tempo di prescrizione (e anche su questo si può facilmente intervenire). Dall’altro, da almeno un paio di decenni, si è stabilito che qualsiasi ragione di legittimo impedimento a partecipare all’udienza dell’imputato o del suo difensore determinano sì il rinvio del processo, ma con contestuale sospensione del corso della prescrizione, dunque senza nessun possibile esito dilatorio.

Infine, statistiche alla mano, sei prescrizioni su dieci intervengono entro la celebrazione della udienza preliminare, dunque senza alcun possibile, materiale contributo dilatorio (che già, come ho ricordato, non è possibile) del difensore, ma solo quale conseguenza delle scelte di priorità adottate dalle Procure nell’esercizio dell’azione penale, oltre che delle obiettive carenze strutturali di magistrati e di personale amministrativo. E invece quella sciagurata riforma è stata venduta alla pubblica opinione come la fine dei privilegi degli imputati ricchi che, pagando fior di avvocati, facevano prescrivere il reato guadagnandosi l’impunità, evocando -non a caso- noti processi relativi a reati commessi venti se non trenta anni prima, sotto l’egida di un regime processuale morto e seppellito da tempo immemore.

Il risultato di questa bravata è stato l’affermazione del principio barbaro dell’imputato a vita, prigioniero del proprio processo fino a quando lo Stato si compiacerà di concluderlo. Merito del Governo Draghi e della Ministra Cartabia, pur essendo quel governo funestato dalla maggioranza relativa grillina, è stato quello di puntare con determinazione al superamento di quella barbarie. Ma sotto la minaccia grillina della crisi di governo, si è dovuto salvare la faccia all’ex Ministro Bonafede, confermando il principio della interruzione del corso della prescrizione con la sentenza di primo grado.

Il prezzo è stato pagato, ricorrendo all’idea del doppio orologio: fermo quel principio, introduciamo la improcedibilità dell’azione (insomma, la decadenza del processo) ove il successivo processo di appello non si celebri in due o tre anni (con il consueto catalogo di eccezioni per i reati di mafia eccetera, cioè i soli che certamente si celebrano entro due anni, perché altrimenti verrebbero scarcerati gli imputati: ma lasciamo perdere gli aspetti comici della vicenda). Insomma, un pastrocchio gravido di complicazioni in ordine alle quali non ho il cuore di annoiarvi.

L’epoca dei grillini al governo è per fortuna alle spalle, ed è dunque dovere di ogni Governo che ambisca ad essere almeno rispettato dai cittadini consapevoli, porre fine a questa carnevalata. Noi penalisti italiani abbiamo combattuto con tutte le nostre forze sin dal primo giorno contro la riforma Bonafede, facendo finalmente entrare nelle case degli italiani anche una narrazione diversa da quella dolosamente mistificatoria che fino ad allora aveva trionfato. E già nel corso della ultima campagna elettorale abbiamo indicato il ritorno alla prescrizione ante-Bonafede (magari con qualche adeguato, indispensabile miglioramento, come d’altronde previsto dalla commissione ministeriale Lattanzi) come l’obiettivo -tra i tanti di una vera riforma liberale della giustizia penale– più immediatamente realizzabile.

Ne abbiamo parlato al Ministro Nordio lo scorso 14 dicembre, con il risultato della imminente apertura di un tavolo con avvocatura e magistratura che si dedicherà a questo, oltre che alle necessarie modifiche degli assai discutibili decreti attuativi Cartabia. In questi giorni il Parlamento ha approvato un ordine del giorno proposto dall’ottimo e preziosissimo on. Costa, che impegna il Governo proprio nei sensi indicati da sempre da noi penalisti. E nella sua conferenza stampa di fine anno la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha esplicitamente confermato l’impegno del Governo nei sensi indicati dall’ordine del giorno Costa.

Sembra proprio che, almeno ed intanto su questo fondamentale tema, ci si stia incamminando sulla giusta via, e certamente l’impegno delle Camere Penali italiane sarà strenuo e -ci auguriamo- decisivo. Intanto, visto che certamente ripartirà la grancassa della menzogna populista sulla prescrizione brutta e cattiva, ora potrete (dopo aver verificato la esattezza delle informazioni che vi ho fornito, beninteso) più facilmente e del tutto serenamente dare del cialtrone a chiunque se ne farà portatore. Buon anno a tutti!

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