L'agenda
Nuova legge elettorale, la carta di Meloni del 2026 che spaventa Lega e Pd
Giorgia ragiona su proporzionale, premio di maggioranza e indicazione del premier. Salvini sarebbe penalizzato e il campo largo in tilt
Lo stesso destino che capita a certi film trash, che con il passare del tempo vengono nobilitati nel filone vintage d’autore. A distanza di quasi 20 anni, una delle esperienze più fallimentari del centrosinistra diventa lo spauracchio di Palazzo Chigi. Della serie: chi lo avrebbe mai detto! In pratica, la “strampalata” vittoria di Romano Prodi nel 2006, grazie a una vera e propria arca di Noè, si è trasformata nel principale pungolo che la leader di Fratelli d’Italia ha usato per convincere i partner: “Dobbiamo cambiare la legge elettorale”. Tutti i ragionamenti pre-partita partono proprio da quello spettro ricorrente con doppia chiave di lettura: maggioranza zoppa (al Senato) e sorprendente trionfo di una coalizione sgangheratissima che naufragherà meno di due anni dopo.
I punti in comune
Dal punto di vista politico, gli elementi in comune tra l’Unione di allora e il campo extra large di oggi sono evidenti. Nel 2006 tutti contro Silvio Berlusconi, nel 2025 la coalizione in fieri per superare Giorgia Meloni, da Conte a Renzi. Stessa ratio: nessun programma condiviso, se non l’avversario da detronizzare a tutti i costi. I colonnelli di FdI dicono che la premier si è definitivamente convinta da qualche mese: la sinistra non riuscirebbe a governare a causa dei numerosissimi focolai mai sopiti (come capitò allora), ma può vincere le elezioni. Con un semplice ragionamento: tutti i collegi “contendibili” stavolta potrebbero passare dall’altra parte, con la forza dei numeri. In più c’è un buco nero in grado di fare molto male: il Sud.
Un modello tedesco
Da Palazzo Chigi le valutazioni allarmistiche della presidente del Consiglio sono passate al Parlamento. Con un quartetto di eccezione incaricato di arare il terreno, il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, l’uomo macchina Giovanni Donzelli e il presidente del Senato Ignazio La Russa. Lo schema alternativo proposto è ampiamente circolato (ne ha parlato la stessa presidente da Bruno Vespa): proporzionale con premio di maggioranza, l’indicazione del candidato presidente del Consiglio, le preferenze, il capolista bloccato e una soglia tenuta bassa, al 3%. Una sorta di modello tedesco, cucinato alla Garbatella (premio di maggioranza). La vittima sacrificale, soprattutto per lo sbianchettamento dei collegi uninominali, è l’alleato più riottoso: la Lega. Una ritrosia che ha un fondamento: nel 2022 il partito di Salvini con l’8,9% ha incassato 98 seggi, facendo razzia dei collegi del Nord. Via Bellerio ha manifestato (almeno finché ha potuto) la sua contrarietà, oggi sembra più propensa a vedere le carte, “se proprio dobbiamo”. In virtù di una regola eternamente valida in politica: se subisci un danno (in questo caso evidentissimo), hai diritto a una lauta ricompensa. Da vedere su quale tavolo Matteo Salvini giocherà il suo bonus. Veneto e Lombardia di nuovo con governatori leghisti, come ha detto mercoledì a Palazzo Madama il capogruppo Massimiliano Romeo? “Niente paura”, prevedono da via della Scrofa: è questione di indennizzo, la maggioranza può andare avanti. Nessun problema con l’altro alleato, Forza Italia: il ritorno delle preferenze ringalluzzisce Antonio Tajani.
La riforma del premierato
Per Meloni, poi, un proporzionale con premio di maggioranza (con il 42% dei voti, il 55% dei seggi) anticiperebbe di fatto la riforma più controversa, quella del premierato, allungandone ulteriormente i tempi (referendum dopo le politiche). Anche perché l’altro tratto distintivo del nuovo sistema imporrebbe alle coalizioni di dover scrivere il nome del premier sulla scheda. Un’esca avvelenata per il campo largo, costretto in questo modo a dilaniarsi per la scelta. Elly Schlein o Giuseppe Conte?
Il Pd arriva diviso
Il Pd arriva al tradizionale appuntamento di fine legislatura, manco a dirlo, diviso. Il più favorevole al ritorno del proporzionale (e delle preferenze) è il presidente del partito, Stefano Bonaccini. L’attuale eurodeputato aveva chiesto a Schlein di adoperarsi per le primarie nei collegi: con la nuova legge, il problema sarebbe risolto. Favorevole al cambio anche Matteo Orfini, da sempre proporzionalista. Più intransigente la maggioranza che nega qualsiasi contatto dirimente (che invece c’è stato) con gli emissari di Chigi. Certo, sarà difficile opporsi a una legge che manda in soffitta il listino bloccato, a parole da sempre contestato. E nei fatti, invece, usato come una scorciatoia utilissima per il Nazareno (come per tutti gli altri partiti). Insomma, stavolta non è accademia: il 2026 potrebbe essere l’anno della legge elettorale.
© Riproduzione riservata







