L'intervista
Olivier Roy: “Religioni assassine, solo la laicità salverà il mondo. In Siria tre blocchi si dividono il territorio, Putin mira solo al caos”
L’autorevole studioso del mondo islamico è sicuro: “Ora Al-Jolani può muoversi a prescindere da Erdoğan Tutta la forza russa è concentrata sull’Ucraina, Mosca non può più muovere un solo dito in altre direzioni”
Consulente del Ministero degli Esteri francese, Olivier Roy è considerato tra i più autorevoli studiosi del mondo islamico. Titolare di cattedra all’Istituto Universitario Europeo e al Robert Schuman Centre for Advanced Studies dal settembre 2009, in passato è stato direttore di ricerca al Centre national de la recherche scientifique (CNRS) francese e professore sia alla School for Advanced Studies in the Social Sciences (EHESS) sia all’Istituto di studi politici di Parigi (IEP). Roy ha scritto numerosi libri su Islam e rapporto con l’Occidente e sulle religioni come veicolo di scontro ricorrente. Nel 2017 è uscito anche in Italia, con Feltrinelli, il suo “Santa Ignoranza. Religioni senza cultura”.
Alla base dei numerosi conflitti in corso nel Medio Oriente spiccano le guerre di religione. Davvero insuperabili?
«C’è bisogno di una visione politica, e dunque laica, dei fenomeni e dei fatti. Ma attenzione. Le ideologie sono la versione laicista delle religioni: hanno fallito anche loro. Oggi, al di fuori della retorica, la religione svolge un ruolo e continuerà a svolgerlo, per certe culture, ma il suo peso politico sarà sempre meno crescente. Anche perché tutte le declinazioni dell’Islam politico negli ultimi 40 anni hanno fallito, come avevo scritto nel mio libro “Il fallimento dell’islam politico” già nel 1992».
Che cosa scriveva?
«In sintesi: una lista di esperimenti politico-religiosi guidati dal fanatismo e finiti nel nulla. In Iran la popolazione non sopporta più il regime. Hezbollah e Hamas sono del tutto incapaci di uscire da una logica di guerra, non hanno alcuna cultura di governo. Il Daesh è stato battuto. I Fratelli Musulmani sono stati sconfitti alle elezioni in Egitto, Tunisia e Marocco. Poi è anche vero che ci sono state dittature laiche come quella di Saddam Hussein, Kaïs Saïed e lo stesso Bashar al-Assad».
A proposito di quest’ultimo, cosa sta succedendo in Siria?
«Vorrei tanto saperlo, non lo sa nessuno. I tre blocchi si dividono il territorio come tre cani su un osso. Bisogna capire chi prevarrà. E come. E quando. Per il momento Abu Muhammad al-Jolani e il suo Daesh stanno riuscendo nel tentativo, non banale, di mettere insieme tutti i musulmani arabi sunniti. I piccoli gruppi – in una regione in cui contano le famiglie, i casati, i clan – saranno prima o poi obbligati ad entrarvi. Ad associarsi alla nuova guida del paese. Il territorio controllato da al-Jolani copre tutta l’area che va da Aleppo alla frontiera giordana, inclusa Damasco. Hanno dunque il cuore della Siria. Poi ci sono i curdi a Nord-Est, molto ben armati. E ci sono gli alawiti, meglio inseriti nel contesto del potere siriano degli ultimi anni, che presidiano il bastione di Nord-Ovest».
Sono tre fronti l’uno contro l’altro?
«No, non per il momento: gli alawiti che erano compromessi con il regime di Bashar al-Assad temono rappresaglie. Ma non tenteranno di riprendere il potere. Il problema semmai riguarda i curdi, sui quali rimane altissima l’attenzione della Turchia. Erdoğan non permetterà mai ai curdi di prendere il potere alle porte del suo paese, che rimane la seconda potenza militare della Nato. Ecco perché Erdoğan ha neanche troppo segretamente contribuito ad armare al-Jolani. Può darsi che il Pkk, che è alla testa politica dei pur numerosi gruppi curdi, decida di negoziare e di stringere un accordo con al-Jolani».
Al-Jolani non dipende più dagli aiuti turchi, a oggi?
«Per niente, se ne è servito. Si è rafforzato. E oggi può muoversi a prescindere da Erdoğan. La Turchia spera di avere mosso bene i suoi scacchi, ma se conosco l’attitudine dei leader Daesh, non sono mai riconoscenti a lungo. Prendono sempre ben presto le distanze dai loro benefattori. Al-Jolani potrebbe però decidere di giocare il suo nuovo ruolo politico accreditandosi sullo scenario internazionale. Ha fatto caso? Al-Jolani non ha lanciato nessuna minaccia a Israele. E anche quella di tenersi distante dalla retorica antisraeliana, in quella regione, è una scelta che pesa».
Se Assad piange, Putin non ride. Lo sponsor non ha fatto molto per aiutare il suo protetto…
«No, infatti. Putin è indebolito dalla guerra in Ucraina che risucchia tutte le risorse. È un conflitto energivoro nel senso che richiede tutte le energie, un dispiegamento di soldati impressionante, di armamenti, di tecnologia di ogni tipo, dai droni ai satelliti. Tutta la forza russa è concentrata sull’Ucraina, anzi: su alcune specifiche regioni dell’Ucraina. E, presa da quella guerra, Mosca non può più muovere un dito in altre direzioni. Quello che faranno sarà tentare di conservare la loro base marittima di Tartus, avamposto russo in Siria. Ma non è detto che riusciranno».
In che modo lo proteggeranno?
«Ci sono due strade. La prima è che i russi trattino con al-Jolani, magari assicurandogli una fonte di approvvigionamento e di finanziamento che gli potranno tornare utili in futuro. Oppure possono contribuire a rafforzare gli alawiti, che con Mosca hanno affinità consolidate. Così facendo, prolungherebbero la guerra civile, comportando anche un numero di vittime – e di sofferenze – molto più alto. Ma alla Russia questo non importa. Giocano sul fronte dell’instabilità globale, cercano di provocare e mantenere il caos con ogni metodo, nel mondo. Anche in Europa. E naturalmente in Israele. Speravano di concentrare l’attenzione dell’Occidente su Israele, non hanno tenuto conto di come gli intrecci siano interconnessi. E adesso sono in difficoltà in Ucraina e in rotta, fuori dalla Siria».
Veniamo a noi, all’Europa. Che ruolo giochiamo? Non riusciamo mai a parlare con una voce sola…
«Certo, non riusciamo mai a parlare con una voce sola, e in questo caso specifico siamo fuori gioco. Completamente fuori gioco. L’Europa non parla ma anche se parlasse non inciderebbe. E questo succede quando non si ha né un quadro chiaro delle cose, né tantomeno una visione per il futuro prossimo. La visione di Macron è che Bashar era il male, e dunque adesso potrebbe anche andare meglio. Altri dicono che il pericolo è l’Islam radicale, quindi è sempre un male che gli eredi di Al Qaeda prendano il potere».
Macron è in crisi. L’Europa è muta. Biden è praticamente fuori ma Trump non c’è ancora. Non ha l’impressione che in questo momento il mondo sia senza guida, senza controllo?
«È assolutamente così. La Turchia, Israele e l’Iran sono le tre potenze dell’area. Sta a loro rimettere le cose a posto. Turchia e Israele premono perché la Siria sia guidata da arabi sunniti, per ridurre la sfera di influenza dell’Iran e dei suoi proxy. Ma in questa fase fare previsioni è davvero impossibile. E sconsigliabile».
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