Di Vladimir Putin sappiamo che ama il judo. Nessuno però sa se il capo del Cremlino, da buon russo, sia anche un discreto giocatore di scacchi. Eppure, una cosa è certa: l’impero che gestisce sembra una scacchiera. E la partita con l’Occidente è un duello in cui ogni pedina ha un ruolo diverso e abilità diverse. Putin a questa partita ci gioca da sempre. Muove dove preferisce e a volte anche in luoghi tradizionalmente distanti dalla sfera di influenza moscovita. Uno su tutti l’Africa. Ma adesso, agli angoli del suo impero, i movimenti su questa scacchiera iniziano a farsi sempre più repentini, frequenti e non sempre facili da gestire. Quantomeno tutti insieme.

Ucraina, niente negoziati

L’Ucraina resta in cima alla lista dei pensieri dello “zar”. Il presidente russo, attraverso il suo portavoce Dmitry Peskov, ha fatto sapere che non ci sono le condizioni per un negoziato. Ma mentre bombarda il territorio ucraino, specialmente le sue centrali elettriche, e prova a riprendersi il Kursk anche con l’aiuto dei militari nordcoreani, Putin sa che la trattativa con Kiev (e Washington) è uno scenario sempre più concreto. Anche perché, come ha spiegato lui stesso ieri al forum economico della banca Vtb a Mosca, auspica la “normalizzazione delle nostre relazioni con i nostri partner occidentali”. E l’ipotesi negoziale ormai prende sempre più piede, non solo a Kiev.

Putin vuole arrivare a tutti i costi alle trattative da una posizione di vantaggio. Per questo servono anche i soldati dalla Corea del Nord. Una scelta che ha allarmato tutto l’Occidente, al punto che il governo ucraino ha chiesto a Seul di unirsi alla sua lotta contro la Russia. Certo, ora in Corea del Sud hanno ben altri problemi dopo la legge marziale ordinata e poi revocata dal presidente Yoon Suk-yeol. Ma nell’ottica di Mosca, la leadership sudcoreana indebolita dalla folle notte di Yoon potrebbe anche essere d’aiuto, visto che l’ex procuratore capo, intransigente nemico di Kim Jong-un e grande sostenitore dell’alleanza con gli Stati Uniti, ora avrà decisamente meno margine di manovra.

In Occidente, la sfida delle future trattative di pace tra Putin e Volodymyr Zelensky è essenziale tanto quanto per la Russia. “Dobbiamo assicurarci che l’Ucraina sia in una posizione di forza e che possa, nei negoziati, quando deciderà di avviarli, ottenere quello che vuole in modo tale che Putin non ottenga quello che vuole” ha detto il segretario generale della Nato, Mark Rutte. Ma ora gli occhi sono puntati tutti su quanto vuole fare Donald Trump, il cui piano per la pace in Ucraina, al momento resta un mistero, anche se si parla (fonte Reuters) di una quasi certa richiesta a Kiev di non aderire alla Nato e di accettare lo status quo nei territori occupati.

Georgia e Siria

Per Putin è la partita decisiva. Ma non è l’unica. Il leader russo è preoccupato da quello che sta succedendo alla porta meridionale del suo impero, in Georgia, dove la crisi istituzionale tra governo e opposizione si fa ogni giorno più intensa. Ieri, la polizia ha picchiato e arrestato Nika Gvaramia, uno dei capi dell’opposizione. Sogno Georgiano, il partito di governo, ha interrotto il percorso di adesione all’Unione europea, posticipandolo almeno al 2028. E con alcune regioni occupate da Mosca (tra cui l’Abcasia, dove sono in corso altre proteste), la situazione, secondo Peskov, è molto simile a quanto accaduto a Kiev con Euromaidan. L’inizio del grande scontro tra Russia e Ucraina. Un rebus complicato per la Federazione, che adesso deve gestire un’altra crisi, forse ancora più decisiva per la sua strategia internazionale: la Siria.

Bashar al Assad, il leader di Damasco sopravvissuto alla guerra civile grazie all’aiuto russo e iraniano, per Putin è un alleato prezioso. L’offensiva ribelle di Hayat Tahrir al-Sham, partita da Idlib, sta mettendo a dura prova il regime ma anche l’equilibrio (già molto precario) dell’area. Lo zar non può perdere il suo alleato mediorientale, ma deve giocare di fino. Appunto a scacchi, anche questa volta. Non vuole che la Siria diventi un protettorato iraniano, ma non vuole nemmeno che Damasco cada sotto colpi di miliziani che non prendono certo ordini dal Cremlino.

Putin ha chiamato Recep Tayyip Erdogan, suo interlocutore in quasi tutte le crisi che coinvolgono Mosca nella regione. Il presidente turco, parlando con Putin e con il premier iracheno Muhammed Shia al Sudani, ha ribadito che è necessario “un processo politico che eviti che la situazione peggiori ulteriormente”. Insomma, il sultano vuole entrare nella partita e fare applicare anche la sua agenda. E Putin ora deve bilanciare le richieste di Assad, l’alleanza con l’Iran (che lo rifornisce di droni), i rapporti con la Turchia e le relazioni con il resto degli attori coinvolti nella crisi, dai partner arabi a Israele fino agli Stati Uniti nel nord-est siriano.