Sei Punte
L'ennesimo pretesto per accusare lo Stato ebraico
Ora siamo al genocidio dei giornalisti, l’ultima mistificazione contro Israele
I numeri sulla morte dei reporter a Gaza vengono strumentalizzati come una prova di crimini di guerra
L’ennesimo ingrediente della ricetta comunicazionale impastata nelle cucine dello schieramento anti-israeliano è costituito dalla statistica sul numero dei giornalisti uccisi nella guerra di Gaza.
Per i più disinibiti si tratta di un profilo del genocidio o, per meglio dire, dell’espediente sicario rivolto all’annichilimento dei soggetti – i giornalisti, appunto – che, se lasciati in vita, potrebbero testimoniare i fatti che certificano l’attuazione, da parte di Israele, del programma di sterminio del popolo palestinese. I responsabili di questa propaganda sono gli stessi che non si preoccupano poi troppo se, nelle liste che agitano in faccia alle platee della pubblica esecrazione, figurano “giornalisti” non solo alle dipendenze di Hamas, ma direttamente responsabili di attività terroristiche.
Questi invasati, non diversi rispetto a quelli che assolvono lo stupro, il rapimento e l’assassinio in prigionia di una ragazza israeliana perché è una “soldatessa”, possiamo anche lasciarli perdere. Ma siccome altri – in buona fede o non necessariamente provvisti di tanta malafede – sono comprensibilmente sensibili alla retorica impressionistica sul “genocidio dei giornalisti” (qualcuno è riuscito a fare un titolo simile), vale la pena di mettere in fila qualche opportuna considerazione.
A cominciare da questa: alla luce del tanto invocato diritto internazionale e umanitario, l’illegittimità o no di un’operazione bellica non dipende in nessun modo dal fatto che essa possa coinvolgere, e di fatto finisca per coinvolgere, certi soggetti anziché altri. Se io costringo in un recinto dei militari nemici e li brucio vivi tutti quanti commetto un crimine, e l’illegittimità della mia operazione è indiscutibile nonostante quelli fossero militari, puranche intenzionati a non dismettere le proprie ambizioni offensive.
Vale, poi, l’opposto: se una mia operazione bellica è legittima – perché ritengo di doverla condurre per scongiurare un pericolo, per neutralizzare una minaccia, per contrastare un attacco, eccetera – essa resta legittima anche se, nel condurla e portarla a termine, coinvolgo dei civili. Identico discorso vale per i giornalisti. L’idea – sbagliatissima quanto, purtroppo, corrente – è che se un giornalista è ucciso, allora l’operazione in cui egli rimane ucciso è, per il sol fatto che egli vi rimanga ucciso, illegittima o criminale senz’altro. Ovviamente non è così. Come l’uccisione di un soldato in una operazione bellica non è necessariamente legittima per il fatto che vi muore un soldato, così non è necessariamente illegittima quella in cui rimane ucciso un giornalista.
In questo quadro – che non destituisce di un grammo di tragedia la morte di chiunque, specie un innocente – è tanto più scorretto assemblare il pacco dei “200 giornalisti uccisi” e adibirlo a riprova dell’intrinseca criminalità delle operazioni belliche in occasione delle quali essi sarebbero stati uccisi. Può darsi benissimo, infatti, che alcune fossero illegittime, ma certamente non per il fatto puro e semplice che dei giornalisti vi siano stati uccisi. Purtroppo, invece, l’andazzo comunicazionale è proprio quest’altro, con le statistiche sui giornalisti uccisi presentate a guarnizione esemplare dell’addebito criminalizzante e con l’agitazione retorica del proclama secondo cui il diritto internazionale e umanitario è infranto se un giornalista è ucciso.
A quale scopo adempia l’accreditamento di questa vera e propria stortura non è molto difficile da capire. Adempie allo scopo di trasfigurare la guerra di Gaza – tremenda come tutte le guerre, tanto più quelle combattute, come questa, in ambiente urbano – in una oscena sequela di crimini gratuiti, dal genocidio alla pulizia etnica, dalla presa per fame e per sete della popolazione civile alla distruzione degli ospedali, per finire giustappunto con il funzionale repulisti dell’informazione: programmato e attuato onde impedire al mondo di avere notizie sulla tragedia in corso e sulle responsabilità dei carnefici.
Si tratta, dunque, di una tessera – l’ennesima – della complessiva contraffazione confezionata per negare il diritto di Israele di neutralizzare i mandanti e gli esecutori del 7 ottobre. Israele, infatti, se fa genocidio e pulizia etnica non esercita quel diritto. Non lo esercita se uccide deliberatamente i civili, non lo esercita se distrugge gli ospedali per impedire che i palestinesi ricevano cure e non lo esercita se uccide i giornalisti in quanto giornalisti.
Per questo, nel racconto contraffattorio sulla guerra di Gaza, il genocidio comincia pressappoco il pomeriggio del 7 ottobre del 2023. Per questo, se Hamas parla di 45mila uccisi, qui si parla di 45mila civili uccisi. Per questo Israele “bombarda gli ospedali” e non importa se ci mette un mese per espugnarne uno, è solo la resilienza degli intubati e dei cardiopatici. Per questo, infine, Israele uccide i giornalisti: perché fa la guerra a quelli che, altrimenti, racconterebbero che quella di Gaza non è una guerra ma genocidio, carestia e deliberato massacro di civili. Poi – altrove, negletta – c’è la verità.
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